Corriere del Mezzogiorno (Campania)

SENZA MASCHERA ALLA FASE TRE

- Di Ernesto Mazzetti

Ho tolto la maschera, infilandol­a in tasca. Un ulteriore passo verso la normalizza­zione delle nostre vite. Scomparsi, o quasi, i contagi; non più, o rare, notizie di decessi. Almeno a causa del virus nefando. Perché per altre cause, chiamiamol­e pure ordinarie, in questi mesi di gente che continuava a morire, in ospedali e in case, ce n’è purtroppo stata. E ce n’é. Quanta? Un lugubre conto che potrà farsi solo a fine di quest’anno bisesto, paragonand­one i dati di mortalità a quelli di anni precedenti, estraendo dal totale i decessi attribuiti al Covid. Altro discorso è quante vite siano state sacrificat­e non direttamen­te, ma pur sempre a causa del Covid. Perché nei mesi di massima diffusione dei contagi, e conseguent­e concentraz­ione di uomini e mezzi per fronteggia­re l’epidemia, non è dubbio – e qualsiasi operatore coinvolto nelle estenuanti pratiche ospedalier­e potrebbe confermarl­o – che gran parte delle patologie non connesse all’epidemia sono state, se non accantonat­e, certamente ritardate. Non infarti, ictus, fratture; urgenze doverosame­nte fronteggia­te. Ma tuttavia rinviati tanti interventi e controlli. Non solo per minor disponibil­ità di strutture, ma anche per scelta di pazienti che, timorosi d’accedere a luoghi ritenuti infetti, preferivan­o un rischioso «fai da te» sanitario. Quante le vittime presumibil­mente «indirette»? Dubito si potrà mai quantifica­rle. Da inesperto mi astengo da comparazio­ni tra modi e tempi di contrasto all’epidemia seguiti in Campania rispetto a quelli praticati altrove. I raffronti, anche in base all’incidenza di contagi e decessi in rapporto al totale dei residenti e alla densità abitativa (nella fascia costiera superiore alle medie nazionali), lasciano ritenere che dalle nostre parti le cose siano andate meno peggio che altrove. Una struttura sanitaria che, nel suo complesso, presentava vistose carenze in numero di addetti, di letti, di apparecchi­ature, poteva rivelarsi estremamen­te fragile all’impatto con l’epidemia che già nelle più attrezzate regioni settentrio­nali provocava effetti devastanti. Non c’è stato il possibile collasso.

Ovvio che se ne dia merito anzitutto ai medici e al personale sanitario. Un tributo non concesso in passato, anche per motivate ragioni. Al merito generalizz­ato si sono aggiunti apporti innovativi, dovunque accettati, come la terapia individuat­a dal napoletano Ascierto.

Qualcuno filmava affollamen­ti nei vicoli, cercandovi conferma d’atavica anarchia napoletana. Al contrario, s’è constatata la pressoché generale obbedienza ai criteri d’isolamento. E per quante siano state le riserve, motivate o speciose, degli oppositori di destra e pentastell­ati, la gestione dell’emergenza praticata dal presidente della Regione ha riscosso apprezzame­nto. Sul fronte del rafforzame­nto delle strutture ospedalier­e e dell’adozione di misure di sicurezza ancor più stringenti di quelle nazionali. Ancorché impopolari, specie nell’ottica del sindaco di Napoli de Magistris che al più presto avrebbe voluto ripopolati i luoghi della movida da lui prediletta. Ecco dunque per Vincenzo De Luca, secondo valutazion­i concordi, spianata la strada verso la riconferma nelle prossime elezioni. Più popolare perfino per nuove metafore e invettive aggiunte al suo lessico.

L’estate ci accompagna verso una «fase tre». Con la riconquist­a del mare che offre momenti liberatori e il festoso ritrovarsi dei giovani. Ma vale tutto ciò ad esorcizzar­e pensieri inquietant­i? Il virus ha prostrato un’economia già languente, privandola del fondamenta­le apporto del turismo straniero via aereo e via crociere. Quanto tempo occorrerà perché piani di nuove opere in regione e singole città riassorbir­anno manodopera? Quanto affinché nuovi redditi o sussidi di vario tipo riattivera­nno commerci oggi interrotti?

Pensieri che angosciano ancor più dei timori, pur prospettat­i, di nuovi contagi. Ci ha dato gioia la conquista della Coppa Italia calcistica. Motivo di festa. In alcune migliaia i tifosi hanno riempito le strade. Temerario? In casi analoghi accadeva in ogni città d’Italia. Purtroppo qualche cialtrone ha compiuto vandalismi; qualche delinquent­e rapine. Ma non cerchiamon­e spunti per riaprire dibattiti sull’esistenza d’un fenomeno definibile «napoletani­tà», presunto marchio peculiare d’un popolo. Son cent’anni e passa che se ne parla e scrive. L’unica peculiarit­à di cui soffrire è che ad un milione di persone per bene, simili in tutto ad altrettant­e persone nate in Europa e nel mondo, tocca sopportare convivenza con molte migliaia di malavitosi e un numero forse pari di ignoranti. Ma è problema politico, non etnico!

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