Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Gattuso e De Luca, la somiglianza napoletana di due «stranieri»
Aprescindere da simpatie politiche e fede calcistica, Vincenzo De Luca e Gennaro Gattuso sono le stelle napoletane del momento : popolarità, simpatia, successo, riflessi positivi sulla comunità e un’eccezionale dose di empatia con il cittadino/tifoso. Il governatore della Campania è in crescita nei sondaggi, secondo le ultime stime sarebbe al quarto o quinto posto per indice di gradimento nazionale.
A ruota del premier Conte, del commissario europeo Gentiloni e del governatore del Veneto, il leghista Zaia, al quale contende la palma d’oro per efficace gestione dell’emergenza coronavirus, comunicazione responsabile e linguaggio colorito : «Chi non porta la mascherina è un pirla», « Userò il lanciafiamme alle feste di laurea».
L’allenatore del Napoli, con la vittoria in Coppa Italia, ha riportato in alto una squadra data per moribonda a metà campionato, in crisi di gioco, in rotta con il mostro sacro Ancelotti e in ammutinamento contro il presidente De Laurentiis. Ha trasmesso ai «mercenari» il senso di apparenza, l’amore per la maglia. E ha conquistato il cuore dei tifosi che gli riconoscono le qualità dell’uomo - coraggio, impegno, determinazione - prima ancora che competenze tecniche, peraltro maturate e indiscutibili. Gattuso rinnova nel calcio il mito di Davide contro Golia, del piccolo indiano contro l’esercito dei «soldati blu», il luogo comune (che per questo si dice comune) del meridionale povero e schietto che batte il nordista (torinese) ricco e arrogante. (Rivedere, please, la faccia di Ronaldo dopo la partita). E che gusto, batterlo ai rigori!
A ben vedere, Vincenzo/Vincenzino e Gennaro/Ringhio non hanno molte cose in comune, non sono nemmeno napoletani e nemmeno campani. De Luca è nato in Basilicata, ha studiato filosofia, ha tifato Salernitana e, secondo il gossip malevolo, avrebbe un’antica fede bianconera, che nell’Italia rossonero-azzurra è peggio del Covid 19. Con la complicità di Crozza, ormai malcelato gioco delle parti mediatico, è diventato un oggetto social cult, che quasi confondiamo l’imitazione dall’originale. Chi ha detto che nell’ampolla di San Gennaro dovrebbe starci il sangue di Gattuso?
Gattuso è nato nella Calabria profonda, ha la cultura della strada, ha fatto sempre fatica per ottenere qualche cosa - è passato da sconfitte, umiliazioni ed esoneri e si è sempre rialzato senza fare sconti a nessuno, nemmeno a se stesso. È nato «sudato» e, come dice una sua biografia, « se uno nasce quadrato, non muore rotondo». «Gioco su un solo tavolo, pane al pane e vino al vino », ripete spesso. Ringhio è personaggio mediatico suo malgrado, vorrebbe stare sempre nello spogliatoio, davanti ai microfoni tradisce timidezza e impaccio, dopo gli applausi pensa sempre ai compiti del giorno dopo.
De Luca è un ambizioso, un po’ narcisista, forse vorrebbe scalare il Pd e rivoltarlo come un guanto. È paternalista, pedagogico, elitario.
L’ambizione di Gattuso è il giusto premio dei sacrifici sopportati. Lui è «uno di noi », mai autoreferenziato, un’eccezione, in mezzo ai «guru» del calcio, strapagati prima di vincere.
Per età, potrebbero essere padre e figlio. Non so se si siano incontrati o se si frequentino. Del resto, «Ringhio» ha un sano rispetto dei ruoli e un rassicurante distacco dalla politica, per evitare di essere strumentalmente preso in mezzo fra il sindaco e il governatore, anche se uno che ha messo in riga Zidane non teme nessuno. A Milano, quando era al Milan, aveva già fatto capire al tifoso Salvini che non gradiva consigli calcistici.
Li unisce una cosa che non si capisce, se non la si conosce: la «napoletanità», che è un modo di essere, parlare, sorridere, far sorridere, con «quella faccia un po’ così »: copyright, il genovese Paolo Conte, ma immagine adatta per due con un nome da scugnizzo.
Non è necessario essere nati a Napoli e nemmeno in Campania, per esprimere la «napoletanità»: « napoletani » si diventa. Gattuso - senza la barba nera e gli occhi calabresi che ti fulminano - esprime la disarmante schiettezza di Massimo Troisi, di uno che è passato di lì per caso e poi si scopre, con tante scuse e rimpianti, quanto è bravo a navigare nel mondo e quanto, a modo suo, è acuto e furbo. E a noi, milanesi/milanisti «non resta che piangere».
De Luca non ammetterà mai di avere studiato Scarpetta, Eduardo e Totò, ai quali ha sicuramente rubato battute, immagini, sarcasmo dolente e napoletanissima «sfessagine» sui propri simili. Con battute a denti stretti, labbra chiuse e mento un po’ inclinato come il principe De Curtis, trasmette scampoli di studiata saggezza e scaltra comicità politica. Anche Ringhio sa fare sorridere, perché ai commentatori che gli fanno domande sui massimi sistemi lui ricorda che trattasi di gioco, che vince chi corre di più e ci mette l’anima, anche senza congiuntivi.
Sarebbe bello vederli un giorno insieme in un teatro, a parlare di Napoli e di calcio, di uomini e caporali, di nebbie milanesi, di politici raglianti e calciatori ringhianti. E troppo sognare? «Abbondandis in abbondandum», punto, punto e virgola.