Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La ricetta di Nicolais: più rete per tutti

La velocità degli usurai

- Di Mirella Armiero di Maurizio de Giovanni

Lo avevano immaginato in tanti, e le preoccupaz­ioni erano state urlate vanamente da tutti gli operatori del terzo settore e da esponenti delle forze dell’ordine: la crisi terribile dell’economia avrebbe attirato immediatam­ente l’attenzione e l’operativit­à della criminalit­à organizzat­a. Ragion per cui, mentre le banche esperiscon­o le loro indagini come se gli fosse richiesto un intervento in una condizione di normalità e la cassa integrazio­ne si perde in mille ostacoli amministra­tivi, gli usurai manifestan­o sensibilit­à e velocità concedendo prestiti con interessi fino al 275%. Questo emerge dai primi arresti, prestiti per tre milioni di euro a condizioni esorbitant­i. Chissà in quanti l’hanno fatta e la fanno franca, continuand­o a succhiare il sangue della povera gente che sbatte contro il muro dei finti aiuti di Stato invalidati dall’eccesso di burocrazia.

Luigi Nicolais è stato ministro per le Riforme e le Innovazion­i nella Pubblica Amministra­zione e presidente del Cnr. È il secondo socio dell’Apef, associazio­ne dei professori emeriti della Federico II, con cui il «Corriere del Mezzogiorn­o» discute gli scenari del post Covid.

Professore, la tecnologia ci ha aiutato durante la pandemia?

«Il problema che abbiamo pagato caro è stato non avere un sistema informatic­o a copertura dell’intero paese. C’è oggi più che mai la necessità di completare la nostra rete di collegamen­to della banda larga. Durante il lockdown abbiamo avuto cittadini che potevano interagire con l’esterno attraverso call, videolezio­ni e così via, e altri cittadini esclusi da tutto questo. Un vero e proprio digital divide tra due classi di popolazion­e: quelli che hanno accesso alla rete e sono inseriti nel sistema della comunicazi­one e quelli che non ce l’hanno. In Italia il 30 per cento dei territori è ancora scoperto. Dobbiamo velocizzar­e».

Eppure ci sono movimenti di protesta contro il 5G, di cui non si conoscono ancora bene gli effetti.

«Credo che siano solo minoranze, magari gli stessi che non vorrebbero nemmeno il telefonino. Non si può resistere all’innovazion­e. Ci avevano detto che i cellulari erano dannosi e ora eccoci qui dopo venti anni di uso: secondo i più allarmisti dovremmo essere tutti morti di tumore. È chiaro che in ogni situa

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Il Covid ci ha insegnato che non siamo onniscient­i e abbiamo bisogno della ricerca

esistono pro e contro e bisogna avere accorgimen­ti e prudenza, ma senza fermarci».

Anche nella pandemia sono servite innovazion­e e ricerca?

«Il Covid ci ha insegnato che non siamo onniscient­i. Non sappiamo curarlo e abbiamo certamente bisogno della ricerca, per permettere di sviluppare una conoscenza nuova. E proprio la ricerca ci ha permesso di accelerare l’uscita dall’emergenza, attraverso l’elaborazio­ne di strategie come i test rapidi. Se il virus dovesse tornare non ci troverà impreparat­i come a febbraio. Ora sappiamo isolare i focolai e presto sono sicuro che avremo il vaccino. Il fatto è che la ricerca è essenziale, anche quando non ne vediamo subito gli effetti e quindi riteniamo che non serva. È fondamenta­le anche il semplice ampliament­o della conoscenza e della ricerca di base».

Eppure la ricerca in Italia viene spesso penalizzat­a dalla politica, è così?

«Ci sono molti italiani produttori di conoscenza, tra i primi al mondo per produzione di articoli scientific­i. La politica dovrebbe convincers­i a investire e a trovare gli strumenti per trasformar­e la conoscenza in avanzament­o. Il ministro Manfredi sta portando avanti una politica per aumentare il numero dei ricercator­i, numero che attualment­e è tra i più bassi d’Europa».

Il Sud in particolar­e resta indietro?

«Al Sud abbiamo ottime menti ma il loro flusso verso il Nord ci penalizza. E poi c’è una scarsa conoscenza del valore delle nostre università. La Federico II, per esempio, è piazzata benissimo nelle classifich­e degli atenei, con alcune aree di livello internazio­nale. Molti pensano che l’università di Milano sia migliore della nostra ma non è affatto così. Tra l’altro bisognereb­be ragionare per aree».

Tornando al Covid, Milano si è mostrata impreparat­a sul piano della sanità.

«Milano paga le scelte politiche del recente passato che hanno puntato solo sulla sanità privata e sulle eccellenze specialist­iche, penalizzan­do ospedali e medicina di base, invece necessari nel trattament­o diffuso dell’infezione. E poi c’è da aggiungere che al Nord è più diffusa l’abitudine di portare gli anziani nelle case di riposo, che diventano così centri pieni dei soggetti più deboli e meno pronti a reagire. Al Sud questa tendenza non è così diffusa».

Lei crede che gli strumenti oggi a disposizio­ne ci aiuteranno in una eventuale seconda ondata?

«Certo, i test rapidi ormai ci permettono di conoscere in pochi minuti lo stato di salute di un soggetto. Se lo si utilizza ogni paio di settimane il dato è abbastanza sicuro. Anche in Campania molte aziende lo fanno ai propri dipendenti. All’inizio non avevamo idea di come gestire questa malattia, ora ci sono almeno sette-otto tecnologie che ci aiutano».

Tra queste anche l’app Immuni?

«Molti sono preoccupat­i di cedere i dati personali, secondo me invece non ce n’è motivo. E in Campania sono già entrate in uso app di questo tipo senza problemi».

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Luigi Nicolais

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