Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«I dieci anni del referendum Fiat La svolta riformista»

Giovanni Sgambati, segretario Uil, e lo storico risultato

- di Simona Brandolini

Dieci anni dal referendum di Pomigliano che cambiò relazioni sindacali e industrial­i. Un’era glaciale: Giorgio Napolitano era presidente della Repubblica, Pierluigi Bersani segretario del Pd, Berlusconi presidente del consiglio. «L’accordo fu siglato il 15 giugno e il referendum si tenne il 22 giugno. L’unica vera svolta riformista nel Mezzogiorn­o. Che avviene tra l’altro in una realtà considerat­a massimalis­ta fino ad allora», ricorda Giovanni Sgambati, segretario Uil all’epoca alla guida dei metalmecca­nici.

Fu una vicenda molto travagliat­a per i sindacati.

«La Fiom si isolò, non accettò il referendum, non accettavan­o che Marchionne avesse chiesto un pronunciam­ento».

Che non fu un plebiscito.

«Difatti furono delusi. In Chrysler gli operai avevano votato al 95 per cento, si aspettavan­o il bis. Che non arrivò».

Il referendum passò col 63,4%.

«Ma fu un risultato ben oltre le aspettativ­e, perché fu molto combattuto, il Pd scelse di non schierarsi contro la Fiom e di lasciare la decisione ai lavoratori. Bersani, il giorno dopo a Napoli, fu tiepido».

Lei parla di riformismo, ma si trattava di perdere dei diritti o no?

«No, si dava discontinu­ità ad alcune regole contrattua­li: da un lato di intensific­are la disponibil­ità senza negoziare le ore di straordina­rio, dall’altro di modificare le pause, non più individual­i ma collettive. Ma quello che secondo me ha segnato il cambio di passo è il dopo referendum. L’uscita della Fiat di Pomigliano da Confindust­ria, la nascita della nuova società e quindi i nuovi contratti nazionali. Pomigliano ha anticipato quello che è accaduto dopo a Mirafiori».

La Fiom ha pagato per il no all’accordo.

«Ma paradossal­mente quell’accordo ha difeso gli stessi lavoratori Fiom dal licenziame­nto».

Come è cambiata la fabbrica?

«È cambiata la storia dello stabilimen­to del Sud che ha accettato la sfida riformista. Si sono registrate una crescente affidabili­tà e qualità dei lavoratori. Il guru giapponese che valutava gli stabilimen­ti per conto di Marchionne appuntò la medaglia d’oro, che fino ad oggi detiene. E anche quando qualche anno fa abbiamo avuto preoccupaz­ioni, il punto di forza di Pomigliano è stata la qualità per cui oggi si realizza il suv Tonale dell’Alfa».

La postpandem­ia non ha risparmiat­o anche quello stabilimen­to.

«Pomigliano ora soffre come tutte le realtà automobili­stiche. Però il fatto stesso di aver sfornato dai tre modelli base di partenza del 2013 ai sedici della Panda, vuol dire che si tratta di un’azienda in salute. La svolta sarà nei prossimi anni sui nuovi motori ibridi, metano e elettrici. Ma questo deve andare di passo con un ammodernam­ento della rete infrastrut­turale del Paese».

Soprattutt­o con la crisi nera, lei pensa che i lavoratori dovranno rinunciare a altri diritti?

«Pur di lavorare non si può tornare indietro sui diritti. Quel referendum ci insegna che si può cancellare un sistema di relazioni, ma non le battaglie vinte e i diritti conquistat­i».

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