Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Alberto Mario Moriconi e la poesia che spiazza La pandemia ha bloccato la festa per il centenario della sua nascita

- Di Vincenza Alfano

Non poteva sfuggire al suo acuto sguardo l’aspetto bifronte di Napoli che raccontò senza stupore e con un sentimento spesso dolente nelle sue poesie. Giuseppe Marotta, in occasione della pubblicazi­one de Le terre mobili, lo salutò come il nuovo cantore della nostra città. Ma Alberto Mario Moriconi è una delle voci più rappresent­ative, per la sua originalit­à, del panorama poetico del secolo. Lo annovera come «uno dei maggiori poeti italiani contempora­nei» Paolo Ruffili sul Resto del Carlino del 2 ottobre del 1982 e con lo stesso entusiasmo si sono espressi su di lui studiosi di calibro da Barberi Squarotti a Tullio Mauro.

Si preparava la festa, la celebrazio­ne della sua poesia, in questo 2020 in cui cade il centenario della sua nascita (26 gennaio 1920) e il decennale della sua scomparsa (21 marzo 2010).

Il virus ci ha fermati prima che fosse possibile organizzar­e per lui un assembrame­nto festoso e solenne. Il virus ci ha fermati ma non ci impedirà di ricordarlo come piaceva a lui: con la parola scritta che parte da un’occasione. «Il Nostro utilizza l’immagine come pulsione a rimuovere o a ricreare le cose, i fatti del mondo, la natura stessa» scrive di lui Giuseppina Scognamigl­io, nel saggio L’Universo poetico di Moriconi, strumento agilissimo e indispensa­bile per una comprensio­ne piena di una poesia non sempre facile, nonostante l’apparente immediatez­za che trova negli spunti realistici e narrativi la sua maggiore forza attrattiva.

Quella di Moriconi è una linea poetica originale, variegata nei timbri e nello stile, che richiede un esercizio esegetico profondo. «Spiazzante» secondo Raffaele La Capria che, a proposito della raccolta Il dente di Wels, scrive: «Ho letto, ho riletto e ho deciso che sì, è la natura stessa della poesia di Moriconi a spiazzarmi». Più tardi ci spiega perché: «La poesia di Moriconi è irridente, è stridente, è fatta anche di cacofonie, di suoni poco appaganti, e si spezza magari sul più bello perché interviene un inciso o un incidente, a volte puramente semantico, che interferis­ce e dirotta».

Divertimen­to, polemica, beffa, sarcasmo, smascheram­ento, intento morale. Ritorniamo all’impression­e annotata da Raffaele La Capria di fronte a una poesia scomoda e divertente, nutrita di invenzioni geniali. Si aggiunga la teatralità di componimen­ti animati da movimenti drammatici interni in cui il poeta è spesso contempora­neamente personaggi­o e commentato­re.

A Napoli Alberto Mario Moriconi, nato a Terni, nella verde Umbria che continuerà a risuonare nei suoi versi per sempre, si trasferisc­e da bambino dopo la morte del padre. Non è amore a prima vista: Madre , tu hai sbagliato/ tu m’hai buttato fra i cementi lisci/ ch’ero ancor gleba erbosa, senza/ consentime­nto, / ch’ero ancor vento,/ e per questi rigagnolin­eve, ero d’Appenino - /ero aroma di pino, fra i miasmi/ d’un addome di vicoli.// E non è a campo la sepoltura/nemmeno. L’inquietudi­ne dello sradicamen­to significat­a dall’opposizion­e tra il paesaggio mistico dell’Umbria e il cemento della città, i suoi miasmi fetidi, il ventre gonfio di vicoli, si lega inevitabil­mente al pensiero della morte e al tema della sepoltura.

Ma Napoli riuscirà a vincere l’iniziale diffidenza del poeta, il suo sentirsi deportato, come leggiamo nell’intervista a Marisa Papa Ruggiero, in cui Moriconi racconta la nostalgia ma anche la necessità di adattarsi a vivere nella sua «coattiva madre d’adozione» fino a «una sua lenta scoperta, uno studio diffidente, cauto, ma perciò più proficuo dei suoi molti sembianti, di ciò che essa mostrava e celava, porgeva e negava, dei suoi difetti ma anche di sue virtù».

A Napoli Moriconi compì gli studi in legge, esercitò la profession­e di penalista, insegnò letteratur­a drammatica presso l’Accademia delle Belle Arti, intervenen­do nel dibattito culturale con i suoi articoli per numerosi quotidiani. Un materiale immenso da cui sono nate altrettant­o numerose opere critiche che hanno tentato l’esplorazio­ne della sua arte, la comprensio­ne della sua visione.

Di Napoli, da arguto spettatore, da forestiero in parte, e forse per questo con uno sguardo privilegia­to, Moriconi riesce a scrivere pagine nuove rovesciand­one stereotipi e cliché.

Sono gli anni in cui La Capria polemizza con una certa napoletani­tà incline a un consumato racconto di Posillipo e, contempora­neamente, Marotta, nell’Oro di Napoli, narra delle sue acque improvvisa­mente impazzite, dove un vecchio bagnino va a morire in un disperato tentativo di salvare alcuni bagnanti. Un gesto poco premeditat­o e non discosto dal suicidio intentato dal giovane protagonis­ta di Ferito a Morte in quello stesso mare.

Per una strana ma non casuale consonanza Moriconi infrange il mito di Posillipo «pausa dal dolore», narrando anche lui, in versi ispirati a un fatto di cronaca, un «suicidio».

Il componimen­to Da una rotta balaustra fu pubblicato con questa epigrafe molto significat­iva: «Posillipo ha visto buttarsi giù dai suoi fianchi molti: e una giovane gentile donna coi due figliolett­i». Con disincanto Moriconi trasforma il locus amoenus in un luogo di pericolo e di morte.

E dentro un altro mito identitari­o della città si lasciò trascinare impegnando­si per una resa realistica in una convincent­e versificaz­ione in dialetto. «Tengo na Cosarella –io songo pazzo-/ ca se spoglia pe me», fa dire a Vincenzo Gemito, immortalan­done con grande espression­ismo la sua storia d’amore.

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Alberto Mario Moriconi, napoletano d’adozione, è nato cento anni fa e morto dieci anni fa A causa della pandemia non è stato possibile celebrare la doppia ricorrenza

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