Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Atti che sfociano nel femminicidio La colpa peggiore è dei genitori»
La psicologa Vegetti Finzi: «Anche il linguaggio è una continua aggressione alle donne»
«Partiamo dalla fine del discorso. E dalla necessità, dunque, di prevedere un percorso di psicoterapia per questa ragazzina bullizzata. Per la quale questa vicenda è stata un vero e proprio trauma. Ma questo è solo l’elemento più evidente. Perché mentre il trauma della bimba è percepibile, meno evidente è quello dei suoi persecutori e di quelli che hanno assistito in modo apparentemente disinteressato allo svolgersi di queste vessazioni. Un ruolo che sembra defilato, ma che comporta invece un forte coinvolgimento». La psicologa Silvia Vegetti Finzi analizza il caso della dodicenne bullizzata da diversi punti di vista, andando a fondo dei disagi di una generazione di giovanissimi senza modelli e senza una adeguata educazione nelle relazioni.
Il trauma è, dunque, anche dei persecutori e non solo della vittima?
«É così. Sappiamo che questi ragazzini, se interrogati, deprecano questo tipo di aggressioni. Sanno bene che si tratta di cose sbagliate, che sono azioni nocive di cui tuttavia sono protagonisti. E c’è dunque una sospensione mentale, un meccanismo che tiene lontane le loro emozioni».
Gli «odiatori» sono sempre più giovani e sempre più violenti, perché?
«Perché non si considera il ruolo di una educazione, che sia realmente precoce, ai rapporti fra uomini e donne. Ai bambini e alle bambine fin dalla scuola materna va insegnato il rispetto del corpo femminile. Il comportamento adeguato va appreso da subito, fin dai primi movimenti di reciprocità fra maschi e femmine. Dopo è troppo tardi, le prediche generiche non servono a nulla. Questi bimbi lo sanno che fanno cose sbagliate, ma questo sapere non interferisce con l’agire. Occorre riflettere sulla morale di una società dove evidentemente non vige il rispetto del corpo femminile e questo i bimbi lo respirano, lo percepiscono».
E come si può arginare questa società così anti femminile?
«Innanzi tutto recuperando le parole e linguaggio giusto.
Non ci accorgiamo di quanto sia carico di violenza un certo modo di esprimersi. Analizzando le parole, pesandole viene fuori un carico di aggressività notevole. Il linguaggio va bonificato, pensando che non sono solo parole...».
In questa storia, oltre ai ragazzini, ci sono anche adulti ancora più aggressivi.
«E questo è gravissimo. I genitori che non hanno il senso del limite, che si lasciano guidare dagli impulsi, che pensano che tanto sono solo ragazzate, che immaginano che tutto può essere giustificato perché tanto sono cose goliardiche, sono l’elemento peggiore. Questi non sono giochi, sono azioni terribili che vanno prese sul serio, violenze che rappresentano l’anticamera del femminicidio».
Si fa fatica a distinguere le ragazzine: quelle che non hanno chili di troppo o presunti difetti sembrano tutte uguali. Stessi capelli, stesso abbigliamento, stesso fisico sottilissimo...
«É vero, le ragazzine sono tutte uguali perché l’apparire è diventato sostituivo dell’essere. Le ragazzine e le bambine non si vestono per esprimere ciò che sono, ma seguendo lo stereotipo che altri si aspettano da loro. Cercano di personalizzarsi, ma nello stesso modo in cui lo fanno tutte. Si tingono i capelli di rosa o di azzurro per sottrarsi alla monotonia, ma è un approccio comune. Non riescono a raccontare se stesse, perché per farlo dovrebbero interrogare la propria vita, farsi delle domande, andare a fondo dei loro desideri».
E chi può aiutarle in questo percorso?
«La scuola è fondamentale. Ma ora è assente e distante. Ci sono problemi di comunicazione, c’è una grande solitudine. La ragazzine solo sole ed usano il corpo per dire, per parlare, per mostrare di appartenere ad un gruppo. Non trovano un altro modo per esprimere se stesse e ripiegano sulla forma esteriore, con una serie di conseguenze terribili. E chi ha un profilo differente finisce per essere messo ai margini».