Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA LEZIONE DEGLI SCIAGURATI
Ci eravamo scadenzati questa data, più o meno, secondo la regola non scritta che abbiamo a nostre spese dovuto imparare: l’incubazione di questo dannato virus, la manifestazione della temuta sintomatologia e la consequenziale occupazione dei letti d’ospedale ha un’ottica di periodo di una quindicina di giorni. Pertanto, avendo il Napoli vinto la Coppa Italia il diciassette di giugno, il letale effetto degli spontanei gioiosi assembramenti di quella notte, con cinquemila ossessi al colmo dell’euforia e assai poco inclini al distanziamento sociale e ai dispositivi di protezione individuale, avrebbe dovuto manifestarsi dolorosamente nei giorni scorsi. Ricordiamo ancora con disagio l’invettiva del professor Ranieri Guerra, vicedirettore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che definì i festeggiamenti «sciagurati», paventando terribili punizioni del destino a fronte di quelle folle scese in strada con la pandemia ancora cavalcante nel paese. All’epoca reagimmo con fastidio a quelle parole, non perché pensassimo che in fondo era lecito e giustificato che i napoletani festeggiassero abbracciandosi e tuffandosi nelle fontane ma perché, semplicemente, ritenevamo nella migliore delle ipotesi ipocrita e nella peggiore ottuso credere di poter riavviare il calcio e assegnare trofei ottenendo da passionali popolazioni che la vittoria fosse accolta con un’alzata di sopracciglio e un sospiro di sollievo.
Ma adesso vi sorprenderemo, non aderendo al coro degli sberleffi che alle nostre latitudini stanno risuonando all’indirizzo della poco felice uscita del professore; eppure potremmo, essendoci pronunciati fin da quel momento con decisione sull’inopportunità di quelle parole nei confronti di un popolo che aveva aderito con senso civico e con rigida correttezza alle normative del lockdown.
Vi sorprenderemo, perché forse sbagliando i termini e i tempi dell’uscita, Guerra aveva ragione. Quei festeggiamenti, avulsi dal contesto e con tutte le giustificazioni del mondo, potevano causare danni enormi, di fatto invalidando i sacrifici che erano stati fatti fino ad allora. Eppure, lo diciamo con il dovuto sollievo e facendo i necessari scongiuri, a oggi e al netto della problematica mondragonese la nostra regione risulta libera dal contagio.
Questo è un fatto. E così come troviamo ridicola e profondamente pericolosa l’esibizione di alcuni politici che assumono atteggiamenti provocatori, catalizzando di per sé i famosi assembramenti, riteniamo che si debba riflettere con attenzione non solo sullo svuotamento pressoché totale dei reparti ospedalieri dedicati al Covid ma anche sul fatto che quella riunione di gioia orgiastica del 17 giugno non ha causato alcun effetto, ma proprio alcun effetto, di ordine sanitario. Ci chiediamo quindi per quale motivo non si possa tener conto di questo per esempio in relazione allo spettacolo. Ci chiediamo che senso abbia tenere un teatro di mille posti utilizzabile da sole duecento persone al più, con distanziamenti chilometrici tra un posto e l’altro, rendendo antieconomica qualsiasi rappresentazione. Ci chiediamo che senso abbia rinunciare a tradizionali feste di piazza, a sagre e incontri culturali che potrebbero tranquillamente essere gestiti contenendo (mai eliminando, ma almeno contenendo) il rischio di ripresa del contagio.
Ci chiediamo per quale motivo non si possa tenere presente che un’incontrollata, assoluta e indisciplinata festa come quella della coppa, una volta purtroppo avvenuta senza misure di contenimento e diventata proverbiale nella condanna un po’ ingessata e molto ipocrita delle istituzioni, abbia titolo per diventare un laboratorio a costo zero, un positivo esperimento sulla sostanziale più lieve e minore dannosità dell’epidemia, perlomeno adesso e qui, nelle condizioni in cui ci siamo attestati in Campania. Magari la più utile lezione di possibilità di liberazione viene proprio dagli sciagurati del diciassette giugno.