Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’insostenibile leggerezza del manager
Insostenibile e leggerezza, le due parole racchiuse nel titolo del romanzo che Milan Kundera ha consegnato alla nostra memoria.
Un aggettivo e un sostantivo che calzano bene anche alla gestione delle risorse umane e non umane in molte, troppe organizzazioni pubbliche e private. Soprattutto nel nostro Mezzogiorno.
In questi giorni dell’era post-pandemica in cui tanto si evoca la parola sostenibilità, col rischio di ridurla a uno slogan o a una bandiera ideologica, bisognerebbe che ogni progetto di ripresa partisse da un’analisi spietata su tutto ciò che alla luce del lockdown del mondo si è rivelato «insostenibile» e gestito con leggerezza. Non mi riferisco a una riflessione sul pianeta o sul proprio stile di vita (anche se indubbiamente necessaria), ma più prosaicamente sul contesto organizzativo in cui ciascuno opera. Ci apparirebbero allora con l’evidenza macroscopica del senno di poi tutte le contraddizioni e i limiti che hanno accompagnato la vita aziendale fino alle soglie della pandemia.
La prima evidenza si presenta con una domanda ingenua: come potevamo lavorare senza lo smartworking? Insostenibile che solo il 6% delle aziende italiane adottasse questa modalità prima del Covid-19. Insostenibile che venisse vista dall’azienda come una concessione legata a una trattativa sindacale. Leggerezza non averne colto le potenzialità di miglioramento delle performance e di ottimizzazione dei tempi e degli spazi di lavoro.
Leggerezza non aver compreso per tempo che presenteismo e orario di lavoro fossero miti del Novecento, e che la competitività richiedesse invece un radicale cambiamento della cultura organizzativa, da rifondare sulla responsabilità individuale e di team, sull’assegnazione di obiettivi, sull’autonomia operativa e – perché no?- sul taglio delle trasferte e dei tempi di pendolarismo. Insostenibile leggerezza non aver avuto il coraggio di cambiare, di uscire dagli schemi e dalla trappola micidiale dell’inerzia organizzativa. Leggerezza vedere il proprio naso e non l’orizzonte, agire per il breve termine con occhiali mono focali, non aver investito su di una nuova organizzazione del lavoro. Insostenibile che dovesse arrivare un cigno nero per dotarsi di occhiali bifocali.
La seconda evidenza è legata alla lentezza. Non quella sana che ci consente di scoprire il paesaggio mentre viaggiamo, ma quella patologica che rallenta e impigrisce ogni processo. Il ritardo digitale nella PA colloca il nostro Paese al terz’ultimo posto tra i paesi europei nel 2018, con una velocità di crescita comunque inferiore a quella della media europea per l’agenda digitale. Non da meno il ritardo delle PMI, se si pensi che quasi il 70% non ha neppure un sito web. Ma qui non si tratta solo di avere un accesso a Internet o la disponibilità di computer e tablet, la posta in gioco è molto più alta e riguarda la possibilità stessa di sopravvivenza nel contesto di un mondo globale che la pandemia ha reso ancora più difficile e selettivo. Insostenibile è il ritardo nella trasformazione dei processi: la fabbrica interconnessa e integrata, la dimensione 4.0, è ancora un obiettivo distante per la grande maggioranza delle nostre realtà industriali. Leggerezza insostenibile quella di amministratori e manager che non hanno investito o lo hanno fatto senza un vero progetto di integrazione digitale di macchine e uomini, giusto per incassare finanziamenti e aiuti dello Stato.
La terza evidenza scoperchiata dall’invisibile potenza del virus è la carenza. Non di risorse, che per definizione sono scarse. Ma di responsabilità manageriale nella guida dell’azienda. Quanto abbiamo «cubato» nel trimestre? Quanto fatturato? Quanto margine abbiamo conseguito? Sono queste le domande di ieri, che avremmo dovuto invece già rimpiazzare, almeno in termini di priorità, con altre: come possiamo crescere? Stiamo costruendo un ecosistema in cui la nostra azienda può interagire in equilibrio dinamico con tutte le risorse, umane e non umane, necessarie per la propria autosufficienza?
Solo accennare a questi interrogativi ci fa comprendere la distanza e l’enorme pochezza della querelle di potere che da troppi giorni lacera la Confindustria nostrana.
Prima ancora del green, dell’economia circolare, della digitalizzazione, il Mezzogiorno, ma il sistema Italia in generale, dovrebbe ripartire in ogni ufficio, in ogni azienda, in ogni consesso, da una scelta di sostenibilità: non solo quella dell’economia, ma quella della capacità manageriale della propria classe dirigente.