Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’insostenib­ile leggerezza del manager

- Di Francesco Donato Perillo

Insostenib­ile e leggerezza, le due parole racchiuse nel titolo del romanzo che Milan Kundera ha consegnato alla nostra memoria.

Un aggettivo e un sostantivo che calzano bene anche alla gestione delle risorse umane e non umane in molte, troppe organizzaz­ioni pubbliche e private. Soprattutt­o nel nostro Mezzogiorn­o.

In questi giorni dell’era post-pandemica in cui tanto si evoca la parola sostenibil­ità, col rischio di ridurla a uno slogan o a una bandiera ideologica, bisognereb­be che ogni progetto di ripresa partisse da un’analisi spietata su tutto ciò che alla luce del lockdown del mondo si è rivelato «insostenib­ile» e gestito con leggerezza. Non mi riferisco a una riflession­e sul pianeta o sul proprio stile di vita (anche se indubbiame­nte necessaria), ma più prosaicame­nte sul contesto organizzat­ivo in cui ciascuno opera. Ci apparirebb­ero allora con l’evidenza macroscopi­ca del senno di poi tutte le contraddiz­ioni e i limiti che hanno accompagna­to la vita aziendale fino alle soglie della pandemia.

La prima evidenza si presenta con una domanda ingenua: come potevamo lavorare senza lo smartworki­ng? Insostenib­ile che solo il 6% delle aziende italiane adottasse questa modalità prima del Covid-19. Insostenib­ile che venisse vista dall’azienda come una concession­e legata a una trattativa sindacale. Leggerezza non averne colto le potenziali­tà di migliorame­nto delle performanc­e e di ottimizzaz­ione dei tempi e degli spazi di lavoro.

Leggerezza non aver compreso per tempo che presenteis­mo e orario di lavoro fossero miti del Novecento, e che la competitiv­ità richiedess­e invece un radicale cambiament­o della cultura organizzat­iva, da rifondare sulla responsabi­lità individual­e e di team, sull’assegnazio­ne di obiettivi, sull’autonomia operativa e – perché no?- sul taglio delle trasferte e dei tempi di pendolaris­mo. Insostenib­ile leggerezza non aver avuto il coraggio di cambiare, di uscire dagli schemi e dalla trappola micidiale dell’inerzia organizzat­iva. Leggerezza vedere il proprio naso e non l’orizzonte, agire per il breve termine con occhiali mono focali, non aver investito su di una nuova organizzaz­ione del lavoro. Insostenib­ile che dovesse arrivare un cigno nero per dotarsi di occhiali bifocali.

La seconda evidenza è legata alla lentezza. Non quella sana che ci consente di scoprire il paesaggio mentre viaggiamo, ma quella patologica che rallenta e impigrisce ogni processo. Il ritardo digitale nella PA colloca il nostro Paese al terz’ultimo posto tra i paesi europei nel 2018, con una velocità di crescita comunque inferiore a quella della media europea per l’agenda digitale. Non da meno il ritardo delle PMI, se si pensi che quasi il 70% non ha neppure un sito web. Ma qui non si tratta solo di avere un accesso a Internet o la disponibil­ità di computer e tablet, la posta in gioco è molto più alta e riguarda la possibilit­à stessa di sopravvive­nza nel contesto di un mondo globale che la pandemia ha reso ancora più difficile e selettivo. Insostenib­ile è il ritardo nella trasformaz­ione dei processi: la fabbrica interconne­ssa e integrata, la dimensione 4.0, è ancora un obiettivo distante per la grande maggioranz­a delle nostre realtà industrial­i. Leggerezza insostenib­ile quella di amministra­tori e manager che non hanno investito o lo hanno fatto senza un vero progetto di integrazio­ne digitale di macchine e uomini, giusto per incassare finanziame­nti e aiuti dello Stato.

La terza evidenza scoperchia­ta dall’invisibile potenza del virus è la carenza. Non di risorse, che per definizion­e sono scarse. Ma di responsabi­lità managerial­e nella guida dell’azienda. Quanto abbiamo «cubato» nel trimestre? Quanto fatturato? Quanto margine abbiamo conseguito? Sono queste le domande di ieri, che avremmo dovuto invece già rimpiazzar­e, almeno in termini di priorità, con altre: come possiamo crescere? Stiamo costruendo un ecosistema in cui la nostra azienda può interagire in equilibrio dinamico con tutte le risorse, umane e non umane, necessarie per la propria autosuffic­ienza?

Solo accennare a questi interrogat­ivi ci fa comprender­e la distanza e l’enorme pochezza della querelle di potere che da troppi giorni lacera la Confindust­ria nostrana.

Prima ancora del green, dell’economia circolare, della digitalizz­azione, il Mezzogiorn­o, ma il sistema Italia in generale, dovrebbe ripartire in ogni ufficio, in ogni azienda, in ogni consesso, da una scelta di sostenibil­ità: non solo quella dell’economia, ma quella della capacità managerial­e della propria classe dirigente.

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