Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I NODI DEL MES
Salvini non perde occasione di magnificare la sanità lombarda: giustamente. Ripete spesso una cosa vera: tanti meridionali vengono a curarsi al Nord. Ma non dice le ragioni della diseguaglianza tra Nord e Sud anche nel settore essenziale della vita umana. Da quando ha trasformato la Lega-Nord in Lega-Nazionale non può dire ciò che davvero pensa di noi: che siamo pigri, approssimativi, incompetenti, corrotti…
Su questo si dovrà ritornare, ma per ora la verità è che l’eccellenza della sanità lombarda non sta tanto nel «pubblico» quanto nel «privato». Infatti la lunghissima dominazione della Lega-Nord in Lombardia ha foraggiato la sanità privata a scapito della sanità pubblica. E il «turismo sanitario» dei meridionali arricchisce a spese della collettività le organizzazioni sanitarie del Nord. Le quali sono migliori perché hanno più soldi: sia per far funzionare meglio i servizi sia per reclutare il migliore personale sanitario, spesso proveniente dal Sud e attratto da stipendi elevati e dall’organizzazione sicuramente perfetta: con meno vincoli burocratici e tetti di spesa. Queste cose sono risapute. Ma vanno ripetute quando i Governatori del Nord si battono con veemenza per l’autonomia differenziata: a garanzia dei privilegi legati alla spesa storica e a mortificazione del Mezzogiorno.
Ecco perché i soldi messi a disposizione dal cosiddetto Mes sono per il Sud indispensabili. Perciò, mentre si spiega il tenace rifiuto del Mes da parte di Salvini che non ne ha bisogno e della Meloni per spirito antieuropeo, il rifiuto di buona parte dei 5S è frutto d’incoscienza e immaturità politiche e alimenta pure le perplessità del Presidente del Consiglio. Il quale infatti tende a rinviare il problema a dopo l’estate: nella speranza di ottenere dall’Ue prima gli altri finanziamenti promessi e nel timore di rompere la maggioranza di governo. Si sa che i partiti di destra (tranne Forza Italia) si autoproclamano «sovranisti» perché sono contrari a tutto ciò che viene dall’Unione Europea, animati da una sorta di preconcetta diffidenza, di cui menano un vanto che è difficile rimuovere.
È vero che, dall’esperienza passata, il Mes non ha buona fama: nacque nel 2012 per consentire prestiti dell’Ue ai paesi richiedenti, ma a «condizioni-capestro» (ingerenze e controlli sulla politica macroeconomica dei paesi ecc.). Dovute alla dubbia idea che, se uno Stato è in crisi e mette a rischio la stabilità dell’area euro, va sì aiutato finanziariamente ma anche controllato e in certa misura «eterodiretto».
Adesso però il Mes è tutt’altra cosa: la decisione dell’Eurogruppo di aprile scorso ha azzerato i vincoli del vecchio MES proprio per rispondere alla devastazione economico-sociale del Covid 19. Dunque un prestito all’Italia di circa 35-36 miliardi a interessi quasi zero e senza condizioni-capestro è manna del cielo, ripeto, specie per il Sud. Non è una condizione, ma un semplice vincolo di destinazione, che la somma vada impiegata per spese sanitarie – si badi: dirette e indirette – onde migliorare la sanità pubblica italiana dopo la pandemia. La decisione dell’Eurogruppo ha infiammato il dibattito politico: accuse infondate dell’opposizione al Governo, pur non avendo esso ancora accettato il Mes preferendo anzi con chiarezza i cosiddetti
Eurobond. Eppure la Meloni ha accusato Conte di «tradimento» e Salvini, con la sua enfasi d’alta cultura, ha definito l’esito dell’Eurogruppo una «drammatica Caporetto», paragonandolo cioè alla disfatta della prima guerra mondiale. Ma la vera confusione sta nel M5S: accettare il Mes sarebbe come ammainare un’altra bandiera storica del vecchio movimento sovranista e antieuropeo cedendo alla realpolitik: come ha scritto Manuela Perrone sul Sole 24 ore. Di qui la spaccatura del M5S: tra chi ha capito la differenza tecnica col vecchio Mes dell’attuale linea di prestito – cui peraltro è stato cambiato pure il nome: «Pandemic Crisis Support» (Pcs) – e chi resta legato alla vecchia bandiera dei 5S. C’è quindi il rischio che in Parlamento manchi la maggioranza per approvare la richiesta del «nuovo» Pcs. Il problema dunque non è tecnico, ma è politico. Infatti al Parlamento Europeo qualche giorno fa, mentre il Pd ha votato a favore della rendicontazione delle spese sanitarie, i 5S hanno votato contro: assieme alla Lega! Hanno avversato un’ovvietà: se un prestito viene dato dall’Ue col vincolo che i soldi vengano spesi per la sanità, è logico che le spese sanitarie siano coerentemente rendicontate. La spaccatura del M5S è la dimostrazione che l’esperienza di governo non è servita al movimento per fare il necessario salto di qualità nella visione del futuro: un conto è fare l’opposizione populista, un altro conto è governare un paese complesso come l’Italia, per giunta nella fase dell’emergenza pandemica. Del resto vari appartenenti al M5S hanno già scelto di passare alla Lega, rivelando la loro vera natura. Naturalmente a fare le spese dell’ambiguità dei 5S è soprattutto il Mezzogiorno. Dove gli Ospedali hanno bisogno di medici, infermieri, attrezzature, ristrutturazioni e dove vanno reinventate la medicina territoriale e la funzione dei medici «di base».
Ma non s’era detto che solo facendo partire il Mezzogiorno si sarebbe fatta ripartire l’Italia? Anche Salvini pensa questo? Ne ha parlato quando è andato e venuto da Mondragone, visto che dice di non occuparsi del sesso degli angeli ma solo di far star bene i cittadini? E il M5S pensa ancora di avere al Sud la straripante affermazione del 2018?