Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Senza scienza non c’è politica»
Franco Rengo, professore emerito di Geriatria: maggiori controlli e mai più Rsa «lager»
«Questa triste esperienza ci obbliga non tanto a chiudere le Rsa, ma a sopprimere quelle strutture “lager” per anziani, che non vengono adeguatamente controllate, anche nelle regioni del Sud». Prende posizione così Franco Rengo, ex vicepresidente del Consiglio superiore della Sanità e professore emerito di geriatria dell’Università di Napoli Federico II, sulla questione della gestione dell’epidemia Covid-19 in Italia. Impatto dell’epidemia sull’invecchiamento della popolazione italiana e differenza del tasso di mortalità rispetto all’influenza, i temi affrontati dal professore nell’ambito degli incontri dell’Apef, l’Associazione dei professori emeriti federiciani.
Professor Rengo, a inizio marzo diversi esperti dichiaravano che l’influenza facesse più morti del Covid-19. Come commenta quelle affermazioni?
«È vero, purtroppo in questo equivoco sono caduti anche scienziati di fama, che non hanno avuto la modestia o la prudenza di non esporsi di fronte a un nuovo agente patogeno. Allora non disponevamo ancora di alcuna evidenza scientifica per confrontare le due infezioni. Questo ha avuto gravi conseguenze politiche in molte nazioni, a cui stiamo assistendo ancora oggi».
Per esempio?
«Basti pensare all’atteggiamento del premier britannico Boris Johnson prima del suo ricovero in terapia intensiva, a quello di Donald Trump negli Stati Uniti o di Jair Bolsonaro in Brasile. In questi Paesi l’organizzazione sanitaria è in crisi e la mortalità ha raggiunto cifre impressionanti: 135 mila decessi negli Usa, 70 mila in Brasile e 45 mila nel Regno Unito. In Italia, dove a marzo la situazione era tragica, i decessi si sono fermati a meno della metà di quelli del Brasile, grazie al lockdown e all’adozione di presidi di prevenzione individuali, come le mascherine».
Quale spiegazione si è dato?
«Che in tema di sanità è vero che le decisioni da prendere spettano alla classe politica. Ma le conseguenze possono essere drammatiche se non supportate dalle conoscenze scientifiche».
Torniamo alla questione dell’influenza e del confronto con il Covid-19.
«Partiamo dal tasso di mortalità, perché si tratta del più importante parametro in medicina. Questo ci permette di differenziare nettamente l’infezione influenzale da quella da Covid-19. In Italia, la prima presenta una mortalità dello 0,1%, anche grazie a campagne di vaccinazione anti-influenzale. La seconda si è attestata su un tasso del 14,4%, visto che non disponiamo ancora di un vaccino o di armi farmacologiche specifiche».
Cosa ha determinato questo tasso di mortalità?
«Certamente nel nostro Paese ha pesato anche l’invecchiamento della popolazione, caratterizzato da gradi maggiori di vulnerabilità, disabilità, fragilità e istituzionalizzazione (la presenza di strutture destinate appositamente per la loro cura, ndr). Ciascuno di questi fattori in età geriatrica è capace di determinare elevati tassi di mortalità. Tassi che si elevano ancora di più se concomitanti tra loro».
Possiamo quindi evidenziare un impatto diverso tra diverse fasce d’età?
«Sì, in Italia la mortalità da Covid-19 varia dal 2,8% nella fascia di età 50-60 anni, al 32,4% tra i 70-79 anni e addirittura il 42,2% nella fascia 8089 anni. Non possiamo però escludere che la maggiore attenzione alla prevenzione anti-Covid-19 nella popolazione anziana, rispetto all’imprudenza più volte dimostrata dalla popolazione giovanile nelle città, possa ridurre la mortalità in età geriatrica e aumentarla nei giovani».
E a livello regionale?
«Per quanto riguarda l’invecchiamento della popolazione, sappiamo che le Regioni meridionali hanno una minore prevalenza di anziani. Confrontato con la media nazionale, il più basso tasso di mortalità lo riscontriamo in Calabria, con l’8,1%, seguita da Campania e Sicilia al 9,1%. La Lombardia ha toccato invece il 17,6%. Non dobbiamo però dimenticare altri fattori determinanti».
Ovvero?
«Se escludiamo l’aspetto geriatrico, la mortalità da Covid-19 è comunque differente nelle diverse Regioni, anche per il numero di soggetti infetti, ma anche per la quantità di tamponi effettuati e per la precocità di ricovero ospedaliero in presenza di polmonite. A livello nazionale, poi, i tamponi sono stati effettuati principalmente su pazienti sintomatici, mentre pochi su soggetti asintomatici, e le tecniche di esecuzione non sempre sono state omogenee. Se potessimo fare un tampone standard su tutta la popolazione italiana, il tasso di mortalità crollerebbe certamente».
Apriamo il capitolo Rsa. «Il problema è scoppiato in Lombardia quando la Giunta regionale ha deciso di trasferire gli anziani dopo la fase acuta dell’infezione di Covid19 dagli ospedali al Pio Albergo Trivulzio, importante Residenza sanitaria assistenziale milanese. In queste strutture sono ospitati gli anziani più fragili, che hanno bisogno di un’assistenza socio-sanitaria continua».
Come si è amplificato il contagio?
«L’ipotesi è che, non essendo stati attenti a isolare gli ospiti delle strutture Rsa dai convalescenti di Covid-19, sia stata provocata una diffusione epidemica con elevata mortalità. Le cause però non sono ancora note e sono oggetto di indagine della magistratura. In altre Rsa, invece, le cause sono da ricondurre al mancato controllo dei visitatori esterni, familiari o conoscenti dei ricoverati».
Pensa sia necessario un cambiamento nella gestione del modello Rsa?
«Non c’è dubbio che in Lombardia la scelta di trasferire gli anziani convalescenti di Covid-19 nelle Rsa non sia stata prudente. Non ritengo che questo debba però imporre una modifica della legislazione nazionale e regionale delle Rsa. Piuttosto, sono convinto che obblighi le autorità a mantenere costante e continuo il controllo su queste strutture, perché siano migliorate e non possano più verificarsi casi di Rsa “lager”».