Corriere del Mezzogiorno (Campania)
CONFRONTO VERO SU WHIRLPOOL
Il problema della chiusura dello stabilimento di Napoli sembra trascinarsi, senza buone prospettive, verso l’ipotesi di chiusura programmata dalla proprietà per il 31 ottobre. Ad oggi soltanto proteste, giustificate, degli oltre 400 dipendenti, tavoli tecnici del tutto inconcludenti e nessuna seria ipotesi di ristrutturazione dell’impianto. A nostro avviso, per ragionare seriamente sul problema occorrerebbe potere rispondere a due questioni di fondo: perché questa decisione della proprietà, al momento irrevocabile, di dismissione in Campania di uno dei sei centri di produzione presenti in Italia; e perché i dipendenti appaiano in linea di principio contrari (così sembra) ad eventuali ipotesi di reindustrializzazione del sito.
Il motivo di fondo della chiusura, ufficialmente addotto dalla Whirlpool Corporation, è il consistente calo della domanda, collegato alla grave crisi attuale in cui si sono perversamente intrecciati elementi economici e sanitari. La riduzione generalizzata dei consumi e la consistente riduzione delle vendite dei prodotti dello stabilimento di Napoli (lavatrici di alta gamma) sarebbero cioè all’origine di una scelta dolorosa e imminente. In proposito, tuttavia non bisogna dimenticare che, appena due anni fa ovvero a crisi in corso, l’azienda aveva concordato con il Governo un piano di investimenti di 17 milioni di euro proprio per affrontare e risolvere le problematiche relative al sito industriale napoletano. Cosa è successo da allora ad oggi? La decisione della multinazionale si presenta giustificabile solo per le conseguenze della pandemia scoppiata in quest’ultimo periodo? In linea generale, ci sentiamo di affermare che l’argomentazione proposta dalla proprietà, per una decisione imprenditoriale in ogni caso molto costosa economicamente e socialmente, appare abbastanza debole. Le vere ragioni, allora, potrebbero individuarsi in altri e forse più sostanziali motivi, come ad esempio l’invecchiamento dell’impianto produttivo, la scarsa competitività dei prodotti, i livelli insoddisfacenti di efficienza.
È raro, infatti, che si decida di dismettere un sito produttivo solo per il rallentamento della domanda, soprattutto da parte di una multinazionale operante in tutto il mondo e, quindi, con ampie opportunità di mercato.
In altri termini, i dubbi fondamentali potrebbero riguardare la produttività e le prospettive di riorganizzazione dello stabilimento di via Argine, l’onerosità di sostenere comunque consistenti investimenti su processi e prodotti, la complessità di una strategia innovativa molto rischiosa. Se così fosse, ma su questi aspetti la conoscenza diretta non è sufficiente per conferire sufficiente certezza ai giudizi formulati in questa sede, il disimpegno della Whirlpool sarebbe l’effetto di una situazione oggettivamente complessa da affrontare, peraltro, in condizioni di generale incertezza.
Passando ora alla seconda questione sollevata all’inizio, bisognerebbe soffermarsi su quali possano essere le ragioni della contrarietà e del rigetto da parte dei lavoratori di eventuali ipotesi di reindustrializzazione del sito, che potrebbero rappresentare forse l’unica alternativa percorribile rispetto alla chiusura e alla perdita di tutti i posti di lavoro.
Anche qui occorre ragionare in termini più generali, partendo dal concetto che un’impresa (o unità produttiva) è destinata a sopravvivere solo se rimane economicamente valida e socialmente accettabile. Non è difatti realistico tentare di tenere in vita organizzazioni che, invece di creare ricchezza e di distribuirla
equamente tra tutti gli «stakeholder», generino perdite e disperdimento del valore. Di fronte a fenomeni di scarsa competitività, non ci sono che due alternative, vale a dire la riconversione industriale (con probabile taglio occupazionale) oppure la più drastica cessazione dell’operatività. Si tratta, dunque, di capire se la situazione complessiva dell’impianto possa consentire un intervento in grado di assicurare la continuità dell’impianto con l’attuale forza di lavoro oppure siano in ogni caso da accogliere ipotesi di riconversione parziale ovvero quali siano le prospettive (dotate di un minimo di concretezza) per assicurare la continuità di uno stabilimento storico della nostra regione.
Risulta senza dubbio, dunque, importante e urgente avviare una discussione, seria e leale, tra i vari interlocutori per configurare soluzioni che risultino accettabili per tutti. Soltanto da un’impostazione realistica e veramente collaborativa tra proprietà, lavoratori e Istituzioni si può tentare di evitare di fare passare ulteriore tempo prezioso per scongiurare soluzioni incompatibili con lo stato dell’economia campana. Per ottenere tale risultato, da una parte bisogna fare appello all’osservanza della «mission» professata dalla Whirlpool a livello di «corporation» e scritta nel suo statuto (garantire il rispetto della responsabilità sociale e della sostenibilità ambientale), e dall’altra alla capacità dei sindacati di guidare i lavoratori a considerare soluzioni effettivamente praticabili e non viziate da posizioni pregiudiziali e irrealistiche. Nel confronto tra proprietà e dipendenti, infine, il ruolo decisivo dovrà essere giocato dal Governo nel disegno di una politica industriale che consideri prioritario un impegno per il Mezzogiorno.