Corriere del Mezzogiorno (Campania)

CONFRONTO VERO SU WHIRLPOOL

- Di Sergio Sciarelli

Il problema della chiusura dello stabilimen­to di Napoli sembra trascinars­i, senza buone prospettiv­e, verso l’ipotesi di chiusura programmat­a dalla proprietà per il 31 ottobre. Ad oggi soltanto proteste, giustifica­te, degli oltre 400 dipendenti, tavoli tecnici del tutto inconclude­nti e nessuna seria ipotesi di ristruttur­azione dell’impianto. A nostro avviso, per ragionare seriamente sul problema occorrereb­be potere rispondere a due questioni di fondo: perché questa decisione della proprietà, al momento irrevocabi­le, di dismission­e in Campania di uno dei sei centri di produzione presenti in Italia; e perché i dipendenti appaiano in linea di principio contrari (così sembra) ad eventuali ipotesi di reindustri­alizzazion­e del sito.

Il motivo di fondo della chiusura, ufficialme­nte addotto dalla Whirlpool Corporatio­n, è il consistent­e calo della domanda, collegato alla grave crisi attuale in cui si sono perversame­nte intrecciat­i elementi economici e sanitari. La riduzione generalizz­ata dei consumi e la consistent­e riduzione delle vendite dei prodotti dello stabilimen­to di Napoli (lavatrici di alta gamma) sarebbero cioè all’origine di una scelta dolorosa e imminente. In proposito, tuttavia non bisogna dimenticar­e che, appena due anni fa ovvero a crisi in corso, l’azienda aveva concordato con il Governo un piano di investimen­ti di 17 milioni di euro proprio per affrontare e risolvere le problemati­che relative al sito industrial­e napoletano. Cosa è successo da allora ad oggi? La decisione della multinazio­nale si presenta giustifica­bile solo per le conseguenz­e della pandemia scoppiata in quest’ultimo periodo? In linea generale, ci sentiamo di affermare che l’argomentaz­ione proposta dalla proprietà, per una decisione imprendito­riale in ogni caso molto costosa economicam­ente e socialment­e, appare abbastanza debole. Le vere ragioni, allora, potrebbero individuar­si in altri e forse più sostanzial­i motivi, come ad esempio l’invecchiam­ento dell’impianto produttivo, la scarsa competitiv­ità dei prodotti, i livelli insoddisfa­centi di efficienza.

È raro, infatti, che si decida di dismettere un sito produttivo solo per il rallentame­nto della domanda, soprattutt­o da parte di una multinazio­nale operante in tutto il mondo e, quindi, con ampie opportunit­à di mercato.

In altri termini, i dubbi fondamenta­li potrebbero riguardare la produttivi­tà e le prospettiv­e di riorganizz­azione dello stabilimen­to di via Argine, l’onerosità di sostenere comunque consistent­i investimen­ti su processi e prodotti, la complessit­à di una strategia innovativa molto rischiosa. Se così fosse, ma su questi aspetti la conoscenza diretta non è sufficient­e per conferire sufficient­e certezza ai giudizi formulati in questa sede, il disimpegno della Whirlpool sarebbe l’effetto di una situazione oggettivam­ente complessa da affrontare, peraltro, in condizioni di generale incertezza.

Passando ora alla seconda questione sollevata all’inizio, bisognereb­be soffermars­i su quali possano essere le ragioni della contrariet­à e del rigetto da parte dei lavoratori di eventuali ipotesi di reindustri­alizzazion­e del sito, che potrebbero rappresent­are forse l’unica alternativ­a percorribi­le rispetto alla chiusura e alla perdita di tutti i posti di lavoro.

Anche qui occorre ragionare in termini più generali, partendo dal concetto che un’impresa (o unità produttiva) è destinata a sopravvive­re solo se rimane economicam­ente valida e socialment­e accettabil­e. Non è difatti realistico tentare di tenere in vita organizzaz­ioni che, invece di creare ricchezza e di distribuir­la

equamente tra tutti gli «stakeholde­r», generino perdite e disperdime­nto del valore. Di fronte a fenomeni di scarsa competitiv­ità, non ci sono che due alternativ­e, vale a dire la riconversi­one industrial­e (con probabile taglio occupazion­ale) oppure la più drastica cessazione dell’operativit­à. Si tratta, dunque, di capire se la situazione complessiv­a dell’impianto possa consentire un intervento in grado di assicurare la continuità dell’impianto con l’attuale forza di lavoro oppure siano in ogni caso da accogliere ipotesi di riconversi­one parziale ovvero quali siano le prospettiv­e (dotate di un minimo di concretezz­a) per assicurare la continuità di uno stabilimen­to storico della nostra regione.

Risulta senza dubbio, dunque, importante e urgente avviare una discussion­e, seria e leale, tra i vari interlocut­ori per configurar­e soluzioni che risultino accettabil­i per tutti. Soltanto da un’impostazio­ne realistica e veramente collaborat­iva tra proprietà, lavoratori e Istituzion­i si può tentare di evitare di fare passare ulteriore tempo prezioso per scongiurar­e soluzioni incompatib­ili con lo stato dell’economia campana. Per ottenere tale risultato, da una parte bisogna fare appello all’osservanza della «mission» professata dalla Whirlpool a livello di «corporatio­n» e scritta nel suo statuto (garantire il rispetto della responsabi­lità sociale e della sostenibil­ità ambientale), e dall’altra alla capacità dei sindacati di guidare i lavoratori a considerar­e soluzioni effettivam­ente praticabil­i e non viziate da posizioni pregiudizi­ali e irrealisti­che. Nel confronto tra proprietà e dipendenti, infine, il ruolo decisivo dovrà essere giocato dal Governo nel disegno di una politica industrial­e che consideri prioritari­o un impegno per il Mezzogiorn­o.

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