Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA CRISI DELLA POLITICA
Com’era prevedibile, il recente intervento a gamba di tesa di Saviano contro il Pd, il governo e il resto del mondo ha scatenato accese discussioni, soprattutto nel centrosinistra. Con grande soddisfazione del centrodestra, che avrà sicuramente gradito il siluro alla vigilia delle elezioni. Ce n’è per tutti. Zingaretti? Inesistente. Il Pd? «Vapore acqueo». Privo di identità, non ha una posizione su nulla e non crede in niente. Pratica l’«arte della sopravvivenza», defilandosi su questioni fondamentali quali le politiche migratorie, il lavoro, il Mezzogiorno. Il governo? Pessimo, tenuto insieme dalla mera opposizione a un salvinismo in fase calante, e a tutto vantaggio dei 5S. Di Maio? Un despota. Il referendum? Futile, ma tale da meritare un bel «no» per punire questa classe dirigente. Riforme costituzionali? E con chi? Con Meloni e Salvini? Per carità! Sul Corriere della Sera, poi, Paolo Mieli ha provato a calmare il Fustigatore. Ha invocato un po’ di comprensione per il Pd, un partito minoritario costretto a governare con il M5S, anch’esso in crisi, e angosciato dalle prossime regionali. Ha poi cercato di mostrare come ogni forza politica che giunga al governo (giacobini e bolscevichi compresi) debba fatalmente piegarsi allo spirito di compromesso, che è poi anche il segno di una diversa e più alta cultura politica.
Ha infine rievocato – con apprezzabile perfidia – il j’accuse di Nanni Moretti nel 2002 contro i dirigenti di Ds e Margherita e la sua incoronazione del dimenticatissimo Pancho Pardi a leader della riscossa.
Sulle pagine di questo giornale, ancora, Sebastiano Maffettone ha invece ribadito e ulteriormente articolato il punto di vista di Saviano. Anche a suo giudizio, il Pd sarebbe affetto da clamoroso «vuoto programmatico». Privo di «una visione o un progetto di società», avrebbe dedicato ogni energia alla lotta contro il demonio, ieri Berlusconi e oggi Salvini. Come tutti i partiti della sinistra democratica dell’Occidente, avrebbe cessato di presentarsi come «difensore del popolo e dei suoi diritti», consegnando il popolo medesimo ai populisti, che — per definizione — ci sanno fare. Da qui la sua trasformazione in un «partito di professori e benpensanti» che difficilmente può essere ancora considerato «di sinistra».
Avrebbe dunque fatto bene Saviano a perdere le staffe. Più che con Zingaretti, però, avrebbe dovuto prendersela con l’intera sinistra democratica occidentale, avviata ormai da tempo, secondo Maffettone, verso una sostanziale perdita di «identità».
Tutto vero. In questi termini, tuttavia, può sembrare che i mali del mondo derivino soltanto dallo stato confusionale della sinistra e dalla scarsa qualità dei suoi attuali dirigenti. È allora opportuno aggiungere — e Maffettone sarà senz’altro d’accordo — che quello stato confusionale non è proprio soltanto della sinistra, ma di tutti. Ha infatti radici nelle telluriche e disorientanti trasformazioni che negli ultimi decenni hanno investito l’intero pianeta. Mi limito a citarne alcune: la crescente onnipotenza dei mercati e della grande finanza globale che, soprattutto nelle materie cruciali del governo dell’economia, del lavoro e del welfare, dettano ormai le loro regole alla politica; l’incremento delle diseguaglianze, anche a fronte della fuoruscita di centinaia di milioni di persone dalla povertà nelle società meno sviluppate del pianeta; l’impoverimento progressivo delle classi medie nelle società affluenti, con fenomeni evidenti di polarizzazione, atomizzazione e frantumazione dei legami sociali che rendono sempre più difficile trovare o costruire un «popolo» di riferimento; gli imponenti flussi migratori dagli inferni della miseria e della guerra verso le cittadelle del benessere, della pace e dei diritti, che — piaccia o non piaccia — si sentono in ampia misura assediate; lo spostamento dell’asse della potenza mondiale da Occidente a Oriente, che porta con sé una sgradevole sensazione di decadenza unita a un crescente appeal dei regimi autoritari; la crisi globale della democrazia, della rappresentanza, dei partiti nel contesto di una poderosa spinta al direttismo e al plebiscitarismo alimentata prima dalla videopolitica e poi dal trionfo della Rete e dei social. Aggiungiamoci ancora i cambiamenti climatici, le pandemie e, soprattutto, l’ormai strepitosa interconnessione dell’intero pianeta, che rende in gran parte obsoleti gli strumenti tradizionali della politica statal-nazionale.
È su questo terreno che si è andata consumando una crisi generale non solo della sinistra e del suo «popolo», ma della politica tout court per come l’abbiamo concepita per lungo tempo.
La verità è che tutti navighiamo a vista in un’epoca di tumultuosa transizione, in cui è urgente e al contempo estremamente difficile elaborare «una visione o un progetto di società» all’altezza dei tempi. Chi ne ha uno si faccia avanti. Purché non si tratti di una visione «visionaria», fatta della stessa materia dei sogni, oppure semplicemente utile a cavalcare il presente in retromarcia, per non andare da nessuna parte. Nel frattempo, un po’ di arte non della sopravvivenza ma del possibile potrebbe non guastare.