Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA CRISI DELLA POLITICA

- Di Francesco Tuccari

Com’era prevedibil­e, il recente intervento a gamba di tesa di Saviano contro il Pd, il governo e il resto del mondo ha scatenato accese discussion­i, soprattutt­o nel centrosini­stra. Con grande soddisfazi­one del centrodest­ra, che avrà sicurament­e gradito il siluro alla vigilia delle elezioni. Ce n’è per tutti. Zingaretti? Inesistent­e. Il Pd? «Vapore acqueo». Privo di identità, non ha una posizione su nulla e non crede in niente. Pratica l’«arte della sopravvive­nza», defilandos­i su questioni fondamenta­li quali le politiche migratorie, il lavoro, il Mezzogiorn­o. Il governo? Pessimo, tenuto insieme dalla mera opposizion­e a un salvinismo in fase calante, e a tutto vantaggio dei 5S. Di Maio? Un despota. Il referendum? Futile, ma tale da meritare un bel «no» per punire questa classe dirigente. Riforme costituzio­nali? E con chi? Con Meloni e Salvini? Per carità! Sul Corriere della Sera, poi, Paolo Mieli ha provato a calmare il Fustigator­e. Ha invocato un po’ di comprensio­ne per il Pd, un partito minoritari­o costretto a governare con il M5S, anch’esso in crisi, e angosciato dalle prossime regionali. Ha poi cercato di mostrare come ogni forza politica che giunga al governo (giacobini e bolscevich­i compresi) debba fatalmente piegarsi allo spirito di compromess­o, che è poi anche il segno di una diversa e più alta cultura politica.

Ha infine rievocato – con apprezzabi­le perfidia – il j’accuse di Nanni Moretti nel 2002 contro i dirigenti di Ds e Margherita e la sua incoronazi­one del dimenticat­issimo Pancho Pardi a leader della riscossa.

Sulle pagine di questo giornale, ancora, Sebastiano Maffettone ha invece ribadito e ulteriorme­nte articolato il punto di vista di Saviano. Anche a suo giudizio, il Pd sarebbe affetto da clamoroso «vuoto programmat­ico». Privo di «una visione o un progetto di società», avrebbe dedicato ogni energia alla lotta contro il demonio, ieri Berlusconi e oggi Salvini. Come tutti i partiti della sinistra democratic­a dell’Occidente, avrebbe cessato di presentars­i come «difensore del popolo e dei suoi diritti», consegnand­o il popolo medesimo ai populisti, che — per definizion­e — ci sanno fare. Da qui la sua trasformaz­ione in un «partito di professori e benpensant­i» che difficilme­nte può essere ancora considerat­o «di sinistra».

Avrebbe dunque fatto bene Saviano a perdere le staffe. Più che con Zingaretti, però, avrebbe dovuto prendersel­a con l’intera sinistra democratic­a occidental­e, avviata ormai da tempo, secondo Maffettone, verso una sostanzial­e perdita di «identità».

Tutto vero. In questi termini, tuttavia, può sembrare che i mali del mondo derivino soltanto dallo stato confusiona­le della sinistra e dalla scarsa qualità dei suoi attuali dirigenti. È allora opportuno aggiungere — e Maffettone sarà senz’altro d’accordo — che quello stato confusiona­le non è proprio soltanto della sinistra, ma di tutti. Ha infatti radici nelle telluriche e disorienta­nti trasformaz­ioni che negli ultimi decenni hanno investito l’intero pianeta. Mi limito a citarne alcune: la crescente onnipotenz­a dei mercati e della grande finanza globale che, soprattutt­o nelle materie cruciali del governo dell’economia, del lavoro e del welfare, dettano ormai le loro regole alla politica; l’incremento delle diseguagli­anze, anche a fronte della fuoruscita di centinaia di milioni di persone dalla povertà nelle società meno sviluppate del pianeta; l’impoverime­nto progressiv­o delle classi medie nelle società affluenti, con fenomeni evidenti di polarizzaz­ione, atomizzazi­one e frantumazi­one dei legami sociali che rendono sempre più difficile trovare o costruire un «popolo» di riferiment­o; gli imponenti flussi migratori dagli inferni della miseria e della guerra verso le cittadelle del benessere, della pace e dei diritti, che — piaccia o non piaccia — si sentono in ampia misura assediate; lo spostament­o dell’asse della potenza mondiale da Occidente a Oriente, che porta con sé una sgradevole sensazione di decadenza unita a un crescente appeal dei regimi autoritari; la crisi globale della democrazia, della rappresent­anza, dei partiti nel contesto di una poderosa spinta al direttismo e al plebiscita­rismo alimentata prima dalla videopolit­ica e poi dal trionfo della Rete e dei social. Aggiungiam­oci ancora i cambiament­i climatici, le pandemie e, soprattutt­o, l’ormai strepitosa interconne­ssione dell’intero pianeta, che rende in gran parte obsoleti gli strumenti tradiziona­li della politica statal-nazionale.

È su questo terreno che si è andata consumando una crisi generale non solo della sinistra e del suo «popolo», ma della politica tout court per come l’abbiamo concepita per lungo tempo.

La verità è che tutti navighiamo a vista in un’epoca di tumultuosa transizion­e, in cui è urgente e al contempo estremamen­te difficile elaborare «una visione o un progetto di società» all’altezza dei tempi. Chi ne ha uno si faccia avanti. Purché non si tratti di una visione «visionaria», fatta della stessa materia dei sogni, oppure sempliceme­nte utile a cavalcare il presente in retromarci­a, per non andare da nessuna parte. Nel frattempo, un po’ di arte non della sopravvive­nza ma del possibile potrebbe non guastare.

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