Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Le ragioni di Micossi e di Giannola
Caro direttore,le considerazioni di Stefano Micossi e Adriano Giannola, a parte la questione dei 60 miliardi rivendicati dalla Svimez, mi sembrano pienamente condivisibili.
La misura di fiscalizzazione proposta dal Governo in favore delle aziende meridionali potrà forse avere un impatto positivo nel breve periodo ma è difficile che possa avere un impatto significativo sul medio lungo periodo ai fini della crescita del reddito e dell’occupazione nel Mezzogiorno. Un investimento di questo tipo al Sud (50 miliardi nel decennio) sarebbe certamente più produttivo se impiegato in interventi strutturali.
La politica della fiscalizzazione non è in grado di incidere sui nodi strutturali che penalizzano il Mezzogiorno rispetto ad altre
aree del Paese o dell’Europa. Questo presenta dei livelli molteplici di «diseconomie» esterne che nel corso degli ultimi 25 anni si sono drammaticamente accentuati portando il livello del Pil pro capite al sud a livello del secondo dopoguerra. Carlo Trigilia ha recentemente rilevato che le politiche meridionalistiche avviate con la cosiddetta «nuova programmazione» dal ‘93 in avanti, non hanno prodotto risultati apprezzabili. È una affermazione molto importante. Se guardiamo alla storia dell’intervento straordinario nel Sud, constatiamo che la più significativa crescita del Mezzogiorno è avvenuta nei due decenni 50-60,60-70 grazie ad una vasta opera di infrastrutturazione da parte della Casmez, ed una contestuale opera di industrializzazione.
Alla fine di quei due decenni il Pil pro capite nel Mezzogiorno arrivò al 61,3% del Nord la cifra più alta raggiunta, per poi iniziare a scendere negli anni successivi.
Dunque la richiesta che da più parti viene avanzata di una centralizzazione delle politiche economiche verso il Mezzogiorno e di interventi verticali è non solo auspicabile ma necessaria, se veramente vogliamo imprimere una svolta alla condizione meridionale. Naturalmente ciò non vuol dire che bisogna escludere la possibilità di specifici interventi su aree territoriali particolari (ad esempio Napoli o Taranto, inteso come sistema urbano-portuale e come più grande area siderurgica d’Europa, che a mio parere richiederebbe un prioritario impegno del Governo). Nè la centralizzazione implica una emarginazione-esclusione del sistema delle Regioni; ma il loro coinvolgimento può e deve avvenire nella fase di impostazione delle linee programmatiche al fine di arrivare ad una «sintesi» unitaria piuttosto che ad una sommatoria di proposte prive di un contenuto strategico meridionalistico e nazionale.Discorso altrettanto importante è quello che riguarda il modo di intervenire sul tema dei «costi» di produzione nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese.
Il tema riguarda certo le diseconomie esterne (da Taranto a Roma occorrono 6 ore per 600 km; da Roma a Milano 3 ore per gli stessi km. E questo vale anche per i prodotti meridionali). Una «cura del ferro» è dunque vitale per il Sud. Ma un ruolo altrettanto importante però, può e deve essere svolto dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dalle organizzazioni imprenditoriali dell’industria dell’agricoltura ecc. Un Patto dei Produttori nel Mezzogiorno e per il Mezzogiorno sarebbe la condizione più favorevole affinché le politiche pubbliche verso il sud possano segnare una svolta storica.