Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quella magnifica serata mai vissuta davvero
La finestra – ampia, ariosa – affaccia sul retro del complesso di edifici. In prospettiva la visione dei campi; un verde statico interrotto dalle rotazioni di un irrigatore automatico.
Fuori dalla camera dei passi remoti, il ronzio di un ascensore. Per cubatura e luminosità potrebbe sembrare un residence di passabile livello, pensa Riccardo. Se non fosse per i due letti ospedalieri (uno, fortunatamente, inutilizzato) e per la relativa strumentazione fissa al muro. Mancano ancora una serata e una notte, la luce del pomeriggio inizia a languire. La nottata scorsa Riccardo ha provato a distogliersi da certi rimorsi leggendo. Senza successo. Mai come ora la narrativa gli è parsa un enorme vaneggiamento. Qualcosa di volatile come il tremolio degli alberi che fanno ombra agli automezzi parcheggiati.
Per fortuna esistono gli smartphone e le interazioni con gli esseri umani, sia pure forzatamente virtuali per la distanza. Giuliana è rimasta a Napoli; a Riccardo pare di vederla con le palpebre arrossate mentre si torce di continuo le mani. Da un certo punto di vista, è colei che sta pagando il maggior costo emotivo di quest’intervento. La famiglia ufficiale, viceversa, ha viaggiato con lui, si è stabilita a un tiro di fucile. In ogni caso possono vederlo di continuo, annusare la sua paura degli eventi, simulare e dissimulare per fargli forza. Anche Giuliana cerca di infondergli coraggio con messaggini e vocali, con qualche furtiva telefonata in orari concordati minuziosamente con lui.
Riccardo siede sulla sponda del letto; avverte una leggera oppressione al torace, la imputa alle sue classiche somatizzazioni. In realtà questo respiro che non dilata i polmoni è sintomatico di un senso di colpa, la colpa che resta sinonimo di infelicità. Lui non ha mai portato Giuliana al San Carlo. A volte lui ha sminuito quel desiderio come l’impuntatura di una giovane donna capricciosa. Una recita all’Opera, non certo un diamante. Eppure lui aveva sempre opposto una resistenza non dichiarata, di solito la più tenace. Aveva sempre temporeggiato, accampando scuse più o meno credibili, più o meno deplorevoli. Parliamoci chiaro: temeva di incrociare qualcuno, una fatale lingua lunga che si mettesse a spettegolare. Napoli non è Parigi o New York; sotto certi aspetti Napoli è un cortile. Ora Riccardo rimpiange queste pusillanimità. Ripensa alla magnifica serata che avrebbe potuto ricavare per sé e per Giuliana, con un pizzico di personalità in più. Ascoltare il Tristano o Le Nozze di Figaro dal vivo, nel buio ovattato della platea, avendo la testa di Giuliana appena reclinata sopra la spalla (il suo profumo riscaldato dall’esaltazione del corpo). Rivedere poi nell’intervallo i suoi grandi occhi febbricitanti, solcare il foyer cingendole la vita. La clandestinità dev’essere costata, a Giuliana, come un rinnegamento quotidiano. Almeno nel foyer, almeno una volta entrambi sarebbero stati riconosciuti nella loro comune verità... In ogni caso lui non le ha mandato alcun messaggio, stanotte. Da giorni le va sbandierando la bugia di sonni ininterrotti; da giorni lei mostra di credergli, in un gioco delle parti necessario e involontariamente crudele. Lui le scrive o le telefona di giorno, reinventando la realtà, minimizzando i rischi dell’operazione. Ridicolo: esiste Internet, il sapere medico è a portata di clic. E lei, per giunta, ha una personale infarinatura frutto della naturale predisposizione per la materia. Riccardo si alza, fa scorrere sulla guida il vetro della finestra. Il fogliame scosso dal vento produce lo stesso sciabordio di un mare.
«Stia solo attento a non prendere freddo».
La voce pacata alla sue spalle: il primario che dovrà eseguire l’intervento, il Signore della sua esistenza. Contro ogni aspettativa non ricorda l’Onnipotente. E neanche, se è per questo, il luminare canuto e burbero che ci si potrebbe lecitamente aspettare. Ha tra i quaranta e i cinquanta, i capelli sono corvini, l’inflessione impercettibilmente meridionale. Il medico accosta una sedia, sembra cordiale, efficiente; sguardo ed espressività denotano equilibrio. L’ospedale, quand’anche sia una struttura di eccellenza, coincide con un’esperienza di spersonalizzazione. Queste visite alla vigilia dell’operazione finiscono per riumanizzare situazione e luogo. Il primario non sottace, non è disonesto, cita però statistiche più che confortanti. Voce ferma, polso fermo. Riccardo assentisce con una passività della quale, improvvisamente, ha vergogna.
«Erano più o meno cinquant’anni che non finivo sotto i ferri».
Così, giusto per riaffermare che lui è un individuo, con una sua storia singolare. Il rapido calcolo mentale del medico: «A giudicare dalla sua età deduco fosse una tonsillectomia».
Riccardo si ritrova ancora ad annuire.
«All’epoca i colleghi asportavano senza pietà. La sua generazione è quella dei senza- tonsille».
Sebbene lo neghi furiosamente, Riccardo appartiene al Novecento. Il Chirurgo, intanto, lo studia con una certa curiosità storica.
«La addormentarono? O agirono in locale».
«Ero sveglio. Fu scioccante». Sì, un metodo barbaro. Bendato e ammanettato per i polsi a una poltrona chirurgica, fu traumatico.
Il primario, gioviale: «le posso assicurare che domani non la ammanettiamo. Stia tranquillo».
Lo stentato sorriso di Riccardo. Teme l’anestesia: quel sonno chimico, quella sedazione grigia e uniforme come un vano di ascensore (Ascensore per il patibolo,
Louis Malle).
«Forse non sarà molto dignitoso», gli scappa detto, «ma non le nascondo che ho una certa paura».
Il primario lo fissa con simpatia (siamo fratelli nella morte e nel dolore). Gli batte col palmo sul braccio.
«È umano. In oltre vent’anni di camera operatoria non ho mai visto entrare qualcuno che raccontasse barzellette».
Si alza in piedi, con una spinta carica di energia. Si congedano come due adulti che si attengono alle rispettive parti in commedia. È stata la filosofia di Riccardo da tutta la vita. Rispettare il ruolo che ti hanno assegnato, a partire da quello in azienda. La procreazione per compiacere suoceri, genitori, moglie. I doveri coniugali, affinché in casa non regni la discordia.
«Vivere in pace è come vegetare», gli aveva sibilato Giuliana, una volta. La sua voce poteva essere cantante come acqua sui ciottoli, oppure nera come bitume.
Lo prometto qui sul limite della vita, si dice Riccardo. Quando tutto sarà alle spalle, lei ed io andremo al San Carlo. Una serata magnifica, saremo l’invidia di tutti. Bussano alla porta, l’irrazionale paura che sia già domattina.
All’Opera
A volte lui ha sminuito quel desiderio come l’impuntatura di una donna capricciosa