Corriere del Mezzogiorno (Campania)
SINDACO, LA RICETTA PD-M5S
Al ballottaggio nei Comuni della Provincia di Napoli ha funzionato l’alleanza Pd-M5S: tutti i suoi candidati eletti sindaci. Non era scontato. Tra i due partiti il dialogo è sempre difficile: al centro e in periferia. A seconda di circostanze e persone – più del M5S che del Pd – il «dialogo» è desiderato o vilipeso (Di Battista). Comunque è sempre un tormentone (disaccordo sul Mes). Altro che «alleanza»! Eppure l’esperimento nei Comuni del napoletano, pur circoscritto a contesti locali, ha il suo rilievo. Gli stessi Segretari del Pd – Zingaretti (nazionale) e Sarracino (metropolitano) – sono convinti della bontà dell’esperimento, partito «dal basso». Più cauto Di Maio, diventato paladino dell’alleanza, ma siccome nel movimento c’è maretta deve darsi coraggio per trasferirla in competizioni impegnative: l’elezione comunale del 2021 nelle grandi città tra cui Napoli. Vari problemi al centro condizioneranno la competizione in periferia. I due principali conviventi nel governo sanno di stare assieme, e con difficoltà, perché nella tragedia della pandemia è interesse fondamentale del paese che la convivenza regga. Si potrà anche estenderla? Decideranno gli Stati generali del M5S.
Che è forte in Parlamento, ma debole nei territori; dove il Pd è forte mentre è debole in Parlamento. Si arriverà a un compromesso? Il Pd appare ora più compatto mentre il M5S, diviso tra «governisti» e «movimentisti», rischia di finire come l’asino di Buridano, ma con una differenza. Essendo «governo» e «movimento» due «cumuli di fieno» assai diversi, esso può scegliere di spaccarsi anziché morire di fame. Del resto la contraddizione vera del M5S risale all’originaria decisione di presentarsi alle elezioni. Che gli hanno riservato belle inaspettate sorprese: nel 2013 un successo di popolo – sedotto dagli strilli di Beppe Grillo – e nel 2018 la maggioranza relativa in Parlamento con l’improvviso «dovere di governare». Tardiva perciò la rivendicazione dell’inquieto giramondo Di Battista di tornare all’origine del movimento dopo oltre due anni di governo: di destra e di sinistra. Stando al Governo, un movimento diventa automaticamente partito: onori oneri e responsabilità. È ora interesse del paese la scissione del M5S, che non può servire due padroni: governo e opposizione. Anziché superare scioccamente la distinzione destra/sinistra, una volta per tutte andasse a destra chi è di destra e a sinistra chi è di sinistra!
Per le elezioni comunali del 2021, questi problemi affliggono il centro-sinistra (del centro-destra si sa poco, ma non pare stia tanto meglio). Pare che a Napoli molti stiano erigendo una Torre di Babele. Il sindaco de Magistris, uscente non ricandidabile, non intende abbandonare il campo senza combattere, ma ha poche munizioni perché lascia una città in agonia e sull’orlo del fallimento. Non ha l’umiltà di farsi da parte e pretende di presentare un “suo” candidato. Che coraggio! La debolezza locale del M5S è accertata ma non aiuta; perché il risanamento delle disastrose finanze comunali dipende da (non si sa quale) intervento governativo; perciò i 5S hanno più d’una carta da giocare. Il Pd a Napoli è il primo partito del centrosinistra e il suo segretario ha il dovere di prendere le iniziative per programmi e candidati. Gli sarebbe tutto facile se non avessero voce in capitolo anche personaggi ai margini del Pd. Vincenzo De Luca milita nel Pd ma in esso crede poco. Stando alle recenti elezioni regionali, al Pd ha dato meno di quanto ha avuto. Però il presidente della Regione Campania, data l’importanza della sintonia tra livelli di governo locale, non può certo restare fuori della partita per il sindaco di Napoli che è pure presidente della popolosa area metropolitana del capoluogo regionale. Singolare la posizione di Antonio Bassolino: non è più iscritto al Pd, sebbene abbia contribuito a fondarlo. Il Pd l’ha poco ripagato di antichi meriti e anzi l’ha maltrattato. Ma Bassolino a Napoli (non solo nel Pd) ha seguito notevole tra gente comune, lavoratori e intellettuali. Ha una forte identificazione con la città, tanto da creare un “pensatoio” per discuterne i problemi e inventare soluzioni. Non può non essere della partita, ma non si sa in quale ruolo: «padre nobile» o «candidato»? Ci sono infine le numerose «iniziative civiche», talune di grande spessore. Nascono sia da ambienti borghesi sia da centri sociali e sono utili, specie se aggregano gli astenuti recuperabili al voto. Non sono ancora note le reali intenzioni dei gruppi dello «spontaneismo cittadino», ma sarebbe un errore se si esprimessero in diecine di liste (autonome e concorrenti) annientando quel poco di coesione che ancora a malapena sopravvive in città. La coesione non può che essere frutto della politica e la politica la fanno i partiti. Non bastano programmi eroici senza concreti progetti, la cui sintesi operativa può farla solo un partito stabile. Semmai il vero nodo è creare l’aggancio tra partiti e iniziative civiche. A questo si deve lavorare: con l’auspicio che tutti scendano dalla Torre di Babele che hanno contribuito a costruire e si sforzino di condividere obiettivi e progetti parlando la stessa lingua.