Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La Biblioteca e l’ipotesi dell’Albergo dei poveri
Caro direttore, negli ultimi giorni della campagna elettorale si era sviluppato sulle colonne del suo giornale un interessante dibattito sulle idee progetto per il rilancio di Napoli presentate dal presidente Vincenzo De Luca. Un dibattito che credo ancora presente alla memoria dei lettori e in cui mi inserisco, chiedendole ospitalità, per sviluppare alcuni temi.
La vecchia proposta presentata vent’anni fa, in modo tra loro indipendente, prima da Cesare de Seta e poi da Giovanni Muto (che nel 2000 era presidente della Commissione Cultura del Consiglio comunale), di trasferire la Biblioteca Nazionale nell’Albergo dei Poveri mantiene tutta la sua validità, perché è nella natura delle Biblioteche e degli Archivi una continua espansione.
Si otterrebbero risultati molteplici: la creazione di una struttura moderna, funzionale e polivalente (lo ha fatto Parigi dove la Biblioteca aveva una sede più che degna); la valorizzazione di piazza Carlo III e della zona circostante che perderebbero il carattere di perifericità, soprattutto considerando la prossimità con altre importanti strutture e istituzioni: l’Orto Botanico, il complesso di Santa Maria degli Angeli alle Croci che ospita il Dipartimento di Veterinaria che prima o poi, per necessità di spazio, dovrà esser trasferito dando la possibilità alla Federico II di sistemarvi un’indispensabile foresteria; lo studentato a Casa Miranda di cui, come ha ricordato Bruno Discepolo, è in corso l’attività di studio e verifica del progetto; e ancora più in alto l’Osservatorio Astronomico e il Parco di Capodimonte.
Un’area, come si comprende facilmente, dotata di straordinarie potenzialità i cui diversi nodi potrebbero essere riallacciati con un mezzo di risalita (cabinovia, funicolare, etc. e progetti furono fatti in passato) che collegherebbe Capodimonte con la città bassa in modo più semplice di un’invasiva funivia nella direzione del Museo Archeologico, senza considerare il vantaggio che avrebbero i residenti dell’area tra Miradois e il Moiariello. Un importante effetto indotto sarebbe il recupero, nei loro valori storico-artistici, degli spazi monumentali del Palazzo Reale destinabili a eventi di ogni tipo e dove attualmente la Biblioteca letteralmente «scoppia».
Un’ulteriore considerazione riguarda la necessità di valorizzare diverse parti della città, abbandonando l’insistenza su alcuni topoi a cui sembra ridursi l’enorme importanza storico-culturale di Napoli: piazza del Plebiscito, i Musei Archeologico e di Capodimonte, i Decumani, via San Gregorio Armeno.
Non si capisce perché un concerto, una manifestazione teatrale o ippica, un qualsiasi baraccone fieristico non debbano trovar posto a piazza Mercato; in molti ricordano il Masaniello di Mariano Rigillo di tanti anni fa. Un’amministrazione attenta al decoro e alla vitalità dei diversi quartieri cittadini dovrebbe avere maggiore attenzione e capacità progettuale. Oltretutto quella piazza delimitata da gioielli come le chiese di Sant’Eligio e del Carmine ha potenzialità turistiche ora inutilizzate.
Tornando alla Biblioteca nell’Albergo dei Poveri mi si dirà che occorrerebbero vent’anni (ed è vero, fondi europei permettendo), ma a Torino dal 1998 hanno fatto rinascere la Reggia e il parco di Venaria Reale che erano un rudere e una sterpaglia (nel 2018 hanno registrato 1.048.834 visitatori), e in ogni caso vent’anni sono sempre la metà di quelli trascorsi dal crollo di parte dell’Albergo dei Poveri che dal 1980 ha visto solo, questo sì, un intelligente ma parziale restauro.