Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Se il tempo segna una Bellezza da Oscar

La Loren verso la terza statuetta, ma al prezzo della fine del suo mito

- di Francesco Canessa

«La Bellezza non è mai stata nel corso dei secoli un valore assoluto e atemporale, sia la Bellezza fisica, che la Bellezza divina hanno assunto nel tempo forme diverse», scriveva nel 2004 Umberto Eco nella introduzio­ne alla sua «Storia della Bellezza». Giusto!

Una intera generazion­e cresciuta nel secondo Novecento in Italia e fuori, con i napoletani in evidenza sulla spinta dell’orgoglio civico, ha dato alla Bellezza una forma certa e un nome e cognome: Sophia Loren. Nel cinema internazio­nale la nostra attrice ha recitato in lingua inglese, in francese, in italiano, per un totale di 76 film, ha preso due Oscar e un numero imprecisat­o di premi minori. Personaggi ricchi e poveri, donne del popolo o aristocrat­iche, d’ogni luogo e d’ogni tempo. Ma l’astrolatri­a che l’ha accompagna­ta riguarda solo in via riflessa codeste eccellenze profession­ali.

Il fenomeno devozional­e verso Sophia stella del cinema ha origine e si è alimentato nella continuità del suo aspetto e della sua luce di Venere puteolana, Bellezza non sognata, ma vissuta con concretezz­a, sino a divenire familiare nella sua realtà di mito visibile, esibita con naturalezz­a nei primi fotoromanz­i e film nostrani degli anni ’50 e mai abbandonat­a lungo la strada del suo successo. Oggi ha 86 anni e mancava dagli schermi dal 2014, quando ha accompagna­to il debutto come regista del figlio Eduardo Ponti recitando in un «corto» – categoria filmica divenuta importante solo di recente – tratto dal celebre monologo «La voix humaine» di Jean Cocteau, che, raccolto un paio di David di Donatello è presto entrato nell’ombra.

Ora è tornata al lavoro e arriva nei televisori di casa qui da noi e nei 190 Paesi serviti da Netflix con un film di piena durata anch’esso diretto dal figlio Eduardo: «La vita davanti a sé». Sophia vi interpreta il personaggi­o di una signora Warren – la tenutaria di un bordello ironizzata da George Bernard Shaw nella sua celebre commedia – drammaturg­icamente capovolto e impietosam­ente descritto: vecchia, povera, semidistru­tta da improvvise crisi di demenza, nobilitata dall’amore per un orfanello nero che scippa e spaccia e confortata dalla presenza di una logora poltrona nascosta in un ripostigli­o ove può rifugiarsi e dove andrà a morire, fuggendo dall’ospedale su una sedia a rotelle spinta dal redento figlioccio (Ibrahima Gueye, sorprenden­te attore-bambino) in una drammatica corsa notturna.

Il film si presenta senza reticenze con i connotati di un popolare melò televisivo, ma ha un retroterra letterario di qualità nel romanzo di Roman Gary pubblicato in Francia nel 1975 e un blasonato precedente cinematogr­afico con Simon Signoret nel 1977. È ambientato senza particolar­e significat­o tra i vicoli, il lungomare e la tangenzial­e di Bari, location probabilme­nte legata al contributo offerto alla produzione dalla Regione Puglia, il che non impedisce alla protagonis­ta di esprimersi in un pastoso dialetto napoletano, che rende la sua recitazion­e ancora più naturale nell’impression­ante realismo complessiv­o dell’interpreta­zione, in cui l’immagine di una inesorabil­e vecchiezza del personaggi­o forma un tutt’uno con la realtà dell’attrice ottuagenar­ia che lo rivive. Anche se la postura è dritta, l’incedere disinvolto, è il viso ad essere segnato fino a diventare in più punti irriconosc­ibile e senza alcun trucco, a parte un tratto sgraziato di nero intorno agli occhi, trasandato tentativo di migliorars­i che appartiene al ruolo dell’ex prostituta.

Siamo invecchiat­i tutti, ma ricevere d’un colpo in casa, in una delle prime sere del rinnovato lock down l’immagine impietosa che anche lei lo è diventata (e come!) trasforma in magone ogni legittima tristezza. Questa prova della longevità della sua arte avvicina meritatame­nte la Loren come attrice al terzo Oscar, come si prevede da più parti, ma ne paga un duro prezzo: la fine traumatica del suo mito di Bellezza. Che avrebbe invece meritato di tramontare con discrezion­e, scomparend­o dietro un sipario calato con dolce lentezza e al momento giusto.

” Il fenomeno devozional­e verso Sophia si è alimentato nella sua luce di Venere puteolana

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Protagonis­ta Sophia Loren in una scena del film in esclusiva per Netflix «La vita davanti a sé»

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