Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Se il tempo segna una Bellezza da Oscar
La Loren verso la terza statuetta, ma al prezzo della fine del suo mito
«La Bellezza non è mai stata nel corso dei secoli un valore assoluto e atemporale, sia la Bellezza fisica, che la Bellezza divina hanno assunto nel tempo forme diverse», scriveva nel 2004 Umberto Eco nella introduzione alla sua «Storia della Bellezza». Giusto!
Una intera generazione cresciuta nel secondo Novecento in Italia e fuori, con i napoletani in evidenza sulla spinta dell’orgoglio civico, ha dato alla Bellezza una forma certa e un nome e cognome: Sophia Loren. Nel cinema internazionale la nostra attrice ha recitato in lingua inglese, in francese, in italiano, per un totale di 76 film, ha preso due Oscar e un numero imprecisato di premi minori. Personaggi ricchi e poveri, donne del popolo o aristocratiche, d’ogni luogo e d’ogni tempo. Ma l’astrolatria che l’ha accompagnata riguarda solo in via riflessa codeste eccellenze professionali.
Il fenomeno devozionale verso Sophia stella del cinema ha origine e si è alimentato nella continuità del suo aspetto e della sua luce di Venere puteolana, Bellezza non sognata, ma vissuta con concretezza, sino a divenire familiare nella sua realtà di mito visibile, esibita con naturalezza nei primi fotoromanzi e film nostrani degli anni ’50 e mai abbandonata lungo la strada del suo successo. Oggi ha 86 anni e mancava dagli schermi dal 2014, quando ha accompagnato il debutto come regista del figlio Eduardo Ponti recitando in un «corto» – categoria filmica divenuta importante solo di recente – tratto dal celebre monologo «La voix humaine» di Jean Cocteau, che, raccolto un paio di David di Donatello è presto entrato nell’ombra.
Ora è tornata al lavoro e arriva nei televisori di casa qui da noi e nei 190 Paesi serviti da Netflix con un film di piena durata anch’esso diretto dal figlio Eduardo: «La vita davanti a sé». Sophia vi interpreta il personaggio di una signora Warren – la tenutaria di un bordello ironizzata da George Bernard Shaw nella sua celebre commedia – drammaturgicamente capovolto e impietosamente descritto: vecchia, povera, semidistrutta da improvvise crisi di demenza, nobilitata dall’amore per un orfanello nero che scippa e spaccia e confortata dalla presenza di una logora poltrona nascosta in un ripostiglio ove può rifugiarsi e dove andrà a morire, fuggendo dall’ospedale su una sedia a rotelle spinta dal redento figlioccio (Ibrahima Gueye, sorprendente attore-bambino) in una drammatica corsa notturna.
Il film si presenta senza reticenze con i connotati di un popolare melò televisivo, ma ha un retroterra letterario di qualità nel romanzo di Roman Gary pubblicato in Francia nel 1975 e un blasonato precedente cinematografico con Simon Signoret nel 1977. È ambientato senza particolare significato tra i vicoli, il lungomare e la tangenziale di Bari, location probabilmente legata al contributo offerto alla produzione dalla Regione Puglia, il che non impedisce alla protagonista di esprimersi in un pastoso dialetto napoletano, che rende la sua recitazione ancora più naturale nell’impressionante realismo complessivo dell’interpretazione, in cui l’immagine di una inesorabile vecchiezza del personaggio forma un tutt’uno con la realtà dell’attrice ottuagenaria che lo rivive. Anche se la postura è dritta, l’incedere disinvolto, è il viso ad essere segnato fino a diventare in più punti irriconoscibile e senza alcun trucco, a parte un tratto sgraziato di nero intorno agli occhi, trasandato tentativo di migliorarsi che appartiene al ruolo dell’ex prostituta.
Siamo invecchiati tutti, ma ricevere d’un colpo in casa, in una delle prime sere del rinnovato lock down l’immagine impietosa che anche lei lo è diventata (e come!) trasforma in magone ogni legittima tristezza. Questa prova della longevità della sua arte avvicina meritatamente la Loren come attrice al terzo Oscar, come si prevede da più parti, ma ne paga un duro prezzo: la fine traumatica del suo mito di Bellezza. Che avrebbe invece meritato di tramontare con discrezione, scomparendo dietro un sipario calato con dolce lentezza e al momento giusto.
” Il fenomeno devozionale verso Sophia si è alimentato nella sua luce di Venere puteolana