Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cent’anni di Michele Prisco Lo scrittore «inedito»
Cento anni di Michele Prisco. La sua scrittura è ancora da indagare, scoprire, (ri)leggere. Talento precoce e versatile, colto e raffinato, Prisco, vincitore del Premio Strega del 1966 con il romanzo Una spirale di nebbia, è tra le voci più significative del paesaggio letterario italiano del secondo Novecento.
Oggi, con una giornata di studio e confronto «Michele Prisco tra radici e memoria», organizzata dall’Università «L’Orientale», alla presenza delle figlie Annella e Caterina, si ricorda lo scrittore partenopeo con lo scopo di indagare gli aspetti meno conosciuti della sua complessa personalità. Prisco fu a Napoli, con Giuseppe Marotta, Domenico Rea, Luigi Compagnone, Raffaele La Capria, Mario Pomilio, in quella generazione di giovani napoletani subito capaci di conquistare una definita personalità letteraria, tra gli interpreti di quel nuovo realismo che si affermò contemporaneamente a una altrettanto forte tendenza all’invenzione fantastica.
«Il convegno nasce all’insegna di un riconoscimento nazionale della memoria di mio padre», sottolinea con orgoglio Annella Prisco, «su proposta del professore Giorgio Tabanelli dell’Università di Urbino a testimonianza del sodalizio professionale e dell’affettuosa amicizia che legò in vita Michele Prisco e Carlo Bo. Di qui si è mosso il Mibact con la costituzione di un Comitato
nazionale per le celebrazioni del centenario». Questa napoletana è solo la prima tappa, che prevede anche il lancio del primo documentario di Giorgio Tabanelli dedicato alla vita e all’opera dello scrittore, secondo un calendario già programmato, il dibattito viaggerà per l’Italia, approdando a Roma, Milano, Urbino e Teramo. Un’occasione per rileggere Prisco e discutere gli aspetti della sua attualità: lo stile sorvegliato, lo sguardo intimistico sulla realtà e la straordinaria capacità di approfondimento psicologico dei personaggi. La questione sociale, con cui lo scrittore vesuviano si è sempre misurato attraverso una scrittura corrosiva, che offre al lettore una visione impietosa e torbida della borghesia. Il contributo offerto alla costruzione di un’identità regionale con un punto di vista malinconico e profondo sulla marginalità della provincia. La dimensione simbolica degli sfondi realistici di una scrittura capace di elevarsi dalla cronaca a vicende di più ampio respiro esistenziale. Delle nove lettere inedite dell’archivio «Leone Piccioni» si occupa la professoressa Silvia Zoppi (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli) approfondendo il rapporto di Prisco con il critico militante, responsabile della pagina culturale del «Popolo», che contribuì al lancio dello scrittore già dal ‘49 con un articolo su La provincia addormentata, poi anche anche nella giuria del Premio Venezia assegnato a Gli eredi del vento. «Dalle lettere emerge un Michele Prisco privato, che esprime la sua gratitudine al critico», sottolinea Zoppi, «un Prisco gentile, come era nella sua natura, ma anche ossequioso e al tempo stesso discreto e riservato a giudicare dall’esiguità del carteggio se paragonato a quello più fitto intercorso tra Piccioni e Rea. Un rapporto che si trasforma nel tempo e diventa di collaborazione tra i due: Piccioni chiederà a Prisco alcuni racconti per la rivista della Rai “l’Approdo”». Giornalismo e narrativa si intersecano nell’indagine della professoressa Paola Villani (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli) che racconterà l’«altro mestiere» di Prisco. «Tema di una ricerca che svolgo da tempo», osserva Villani, «è la profonda osmosi tra la produzione letteraria e quella giornalistica, un dato innegabile anche per Benedetto Croce che, nonostante criticasse la caducità della pagina giornalistica, ammetteva poi come gran parte del dibattito culturale e letterario passasse attraverso la stampa quotidiana. È molto evidente in Prisco come la pagina giornalistica non sia separata da quella letteraria. A Napoli si viveva una feconda stagione di dibattito e confronto, una vera e propria società letteraria si era formata intorno a Compagnone, Rea , Pomilio, Prisco stesso, che dialogavano attraverso carteggi, riviste letterarie, articoli. La produzione giornalistica diventa quindi uno strumento di comprensione della narrativa e spazio di riflessione per lo scrittore stesso. Prisco avverte di soffrire molto i tempi diversi della scrittura giornalistica rispetto al romanzo. La pagina giornalistica però, anche se sussidiaria, diventa nel suo, come in altri casi, fondante per la lettura dei grandi capolavori. Occorre una ricostruzione da fare con grande pazienza negli archivi attraverso uno spoglio minuzioso. Ho riletto i suoi articoli meno noti o meno citati, pagine dimenticate che ho guardato in una nuova prospettiva. La riscoperta è un grande merito di questo convegno».