Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA SOLIDARIETÀ TARDIVA DOPO 19 ASSOLUZIONI
Sono, dunque, 19 le assoluzioni «piene» che Antonio Bassolino incassa per processi snodatisi su quasi 20 anni. Un’enormità giuridica, umana, politica e morale, come la definisce uno sdegnatissimo Pierluigi Battista sul Corriere di Sabato. Ma sebbene molti, ormai, siano d’accordo con lui, nulla segnala un’inversione di rotta verso l’applicazione del principio costituzionale per cui l’imputato è innocente fino a condanna definitiva, né si lavora a una riforma della giustizia. Restano soltanto i tribunali, fortunatamente, a metterci una pezza, con molto ritardo rispetto alla vita delle persone.
Per questo, davanti alle numerosissime — e per lo più tardive — espressioni di solidarietà giunte a Bassolino, è importante fare tre considerazioni: 1) Il Pd, come i Ds di un tempo, continua a non vedere nella questione giustizia una priorità per il Paese. Solo alla diciannovesima assoluzione si è svegliato anche l’ex guardasigilli, Andrea Orlando, per scoprire che «qualcosa non ha funzionato nel sistema e qualche cortocircuito si è determinato». Viene da chiedersi dove Orlando abbia trascorso gli ultimi 30 anni. Se gli sia giunta voce delle ingiustizie di tangentopoli; dell’incredibile e ben documentata sproporzione tra casi istruiti e giunti a processo; della catena di errori giudiziari, dell’indecoroso mercato delle cariche dei procuratori — che coinvolge tutte, ma proprio tutte, le correnti — svelato dal caso Palamara. La priorità del Pd resta non urtare la «sensibilità» filo-pm dei grillini, come nel voto sull’istituzione di una giornata della malagiustizia.
2) Nell’ultimo trentennio i media hanno funzionato, il più delle volte, da «buca delle lettere dei pm», con un ruolo subalterno e acritico verso i pubblici ministeri che, ricordiamolo, sono una parte del processo. Tra gli esempi recenti, il paradosso del capo della procura di Napoli, il dottor Melillo, che smentisce, con tanto di comunicato, l’esistenza di un’inchiesta a carico del presidente De Luca data per certa da giornali «bene informati», nella solita caccia al colpevole.
3) Stupisce soprattutto — o forse no? — che la raffica di dichiarazioni di solidarietà non faccia mai riferimento all’oggetto di tutti questi processi: dotare la Campania di un moderno sistema di smaltimento dei rifiuti. Va bene riconoscere la tempra morale dell’uomo, ma il punto politico di quasi vent’anni di persecuzione è la diversa visione sullo smaltimento dei rifiuti, lo scontro tra chi propone soluzioni e chi, come i 5stelle e tanti altri, vagheggia mondi ideali. Da presidente di Regione, Bassolino aggiornò e portò avanti il piano di Rastrelli, con la collaborazione di diversi attori, tra cui commissari e presidenti del consiglio. Oggi, senza il termovalorizzatore di Acerra i rifiuti sommergerebbero Napoli, il cui il sindaco in otto anni non ha saputo creare uno straccio di impianto, e la Campania, che De Luca ha invece dotato di un nuovo piano. In quel lavoro Bassolino venne accerchiato da proteste quasi giornaliere dove c’era di tutto (persino incappucciati con croci gigantesche), che lo costrinsero a chiedere l’intervento dell’allora ministro dell’interno Pisanu per far avviare il cantiere di Acerra. E per accertare la responsabilità dell’abnorme accumulo di ecoballe, si guardi a coloro che fecero di tutto per ostacolare la realizzazione del termovalorizzatore e degli altri impianti. Condannerei i tanti negazionisti di questa storia almeno alla lettura delle motivazioni di queste sentenze e a un ripasso del copioso archivio Ansa. Ma ora come allora, dai dirigenti Pd e Ds, solo silenzio. Prima per non sfasciare i governi dell’Ulivo; ora per non creare problemi all’alleanza giallorossa, confermando la subalternità politica ai 5stelle, contrari ai termovalorizzatori (non a caso Roma è una delle poche capitali europee ad esserne priva).
A Bassolino, per essere seri, i dirigenti del Pd e dei Ds di allora dovrebbero chiedere scusa per il mancato sostegno (Veltroni non lo volle sul palco a Napoli nel pieno della tempesta, mentre Repubblica invocava le dimissioni) in una giusta battaglia politica riformista. Lasciandolo solo nelle piazze e nelle aule di giustizia.