Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Pubblica amministrazione La priorità è riformare
Sulla crisi della pubblica amministrazione Paolo Ricci ieri scriveva su queste pagine «…è possibile svecchiare, non solo anagraficamente, l’amministrazione pubblica italiana, tentando di archiviare comportamenti sempre condannati ma mai convintamente contrastati».
Chi, come me, ha studiato, conosciuto e praticato la pubblica amministrazione del nostro Paese non può non essere d’accordo con Ricci, quando afferma che v’è necessità di un radicale nuovo reclutamento di personale e, soprattutto, di una ri-affermazione dei doveri d’ufficio intesi quale luogo sostanziale di una rinnovata etica pubblica.
Su quest’ultimo aspetto, il fondamento enunciato dall’art. 54 della costituzione, a norma del quale «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore», pone questioni che non possono essere affrontate attraverso la scorciatoia di argomentazioni, purtroppo ampiamente diffuse, che attribuiscono il malfunzionamento della pubblica amministrazione al malsano stile di lavoro ivi praticato, prodotto, quest’ultimo, della cultura dell’indisciplina e del far niente.
Con ciò non intendo negare o sottovalutare le azioni dei cosiddetti «furbetti del cartellino» o degli opportunisti interessati solo al proprio tornaconto. Queste pratiche, nonostante l’esistenza di complessi apparati normativi che hanno provato a regolamentare tali questioni, trovano il loro brodo di coltura in una organizzazione dove ha sempre stentato ad emergere la cultura della responsabilità per il miglioramento della performance, del merito, della trasparenza e dell’integrità.
Ridurre tutto, quindi, ad una questione di «comportamenti», verso cui attrezzarsi con azioni pedagogiche e con un radicale turnover, rischia di lasciare lì incontrastate tutte le ragioni della crisi.
Per diventare dirigente nella pubblica amministrazione due sono i requisiti senza i quali non è consentito l’accesso alla carriera: la laurea e almeno cinque anni di lavoro quale funzionario pubblico o privato, sempre che, per quest’ultimo, siano evidenti i criteri di parametrazione con l’attività pubblica. In tale quadro, quindi, l’esperienza e l’approfondimento formativo professionalizzante restano aspetti marginali e relativamente considerati nell’azione di reclutamento dei quadri e dei dirigenti nella PA.
In un contesto nel quale, da diversi lustri, si è preso a piene mani dall’approccio anglosassone all’organizzazione, introducendo nella amministrazione pubblica il budget, la governance, la performance e, per dirla con una sola espressione, il new public management, basta avere un diploma di laurea, conseguito legalmente, anche se, magari, con percorsi più facilitati. Nel tanto agognato mondo anglosassone non vige il corso legale del diploma di laurea ed è possibile, nella selezione, preferire un candidato che abbia conseguito i suoi titoli di studio presso organizzazioni formative di rinomata qualità e che, soprattutto, sia stato in grado di combinare, nello stesso percorso, studi ed esperienze professionali.
Ecco, allora, che ciò che ci attende è un lavoro complesso, quello di attivare un armonico sistema di riforme, che muova da un’istruzione non più isolata nei suoi percorsi, ma attraversata orizzontalmente e verticalmente dall’attività della formazione professionale, quest’ultima attualmente fanalino di coda tra i paesi dell’Unione Europea. Inoltre, da una PA che sappia essere palestra per le nuove generazioni, dove allenarsi ad apprendere come l’interesse generale e il bene comune, per essere praticati, debbono essere agiti attraverso abilità e tecniche proprie di una perizia professionale.
A partire da qui, sicuramente potrà attivarsi l’innovazione, che, come ci ricordano gli analisti d’organizzazione, si produce da una sana dialettica tra routine e cambiamento: dove la routine è rappresentata dall’esperienza che pure è maturata nella pubblica amministrazione, grazie a quei dipendenti, funzionari e dirigenti che hanno messo in campo tutto il loro interesse e il loro impegno, e le giovani generazioni che bene formate e addestrate potranno contribuire ad introdurre il cambiamento che tutti ci attendiamo.