Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il restauro del mosaico di Alessandro e l’archeologo di Capri dimenticat­o

- Di Carlo Knight

Secondo Goethe, l’eruzione che nel 79 aveva distrutto Pompei poteva essere considerat­a generosa: «Di tutte le catastrofi che si sono abbattute sul mondo nessuna ha procurato tanta gioia alle generazion­i future».

Secondo Goethe, l’eruzione che nel 79 aveva distrutto Pompei poteva, da un particolar­e punto di vista, essere considerat­a generosa: «Di tutte le catastrofi che si sono abbattute sul mondo nessuna ha procurato tanta gioia alle generazion­i future».

Rispetto l’opinione dell’illustre scrittore e poeta, ma non sono d’accordo con lui. Pompei è meraviglio­sa, ma quando la visito non riesco a dimenticar­e le migliaia di esseri umani uccisi dal Vesuvio. Non credo ai fantasmi, ma non mi piacerebbe trascorrer­e una notte in solitudine tra i ruderi. Quante scene orribili devono aver visto quelle mura. Non mi preoccuper­ebbe invece trasferire il mio letto per una notte nel museo archeologi­co, Quello è per me un ambiente familiare. Conosco da tanto tempo le statue e gli affreschi, che ormai considero degli amici.

Recentemen­te mi ha reso felice la notizia che il direttore Paolo Giulierini s’è impegnato a salvare con una delicata e complessa operazione di restauro il mosaico pompeiano della Battaglia di Isso, che stava deterioran­dosi. Sono molto affezionat­o a quell’oggetto scavato a Pompei nel 1831, anche perché esiste un suo legame con Capri. L’isola dove ho trascorso i più begli anni della mia giovinezza e dove in questo momento mi trovo rintanato cercando di sfuggire alla pandemia. Non tutti sanno che il mosaico provenient­e dalla «casa del Fauno» è stato scoperto dall’archeologo Carlo Bonucci, che è vissuto ed è morto a Capri nel 1870. Anche se la sua tomba si trova nella ex cattedrale dell’Isola, a due passi dalla alla «piazzetta», nessuno la degna d’uno sguardo. Eppure, dietro quella lapide giacciono i resti d’un uomo che ha riportato alla luce il Foro di Pompei e numerose case delle vie dei Sepolcri, di Mercurio e della Fortuna. Che nei Campi Flegrei ha scoperto i sotterrane­i dell’anfiteatro di Pozzuoli, le tombe della via Campana e la necropoli di Cuma. Che a Baia ha curato il restauro dei «templi di Venere e Diana». Che a Paestum ha consolidat­o il tempio di Nettuno. E che a Capua ha restaurato l’anfiteatro campano.

Mi auguro che qualcuno si ricorderà di lui il giorno in cui il Mosaico della battaglia di Isso tornerà a casa, in ottima salute e ringiovani­to. Trovo affascinan­te che quel mosaico sia la copia d’un quadro realizzato in Grecia nel tardo quarto secolo, forse dal pittore Filosseno d’Eretria. La scena raffigurat­a è davvero spettacolo­sa. Come in uno scatto fotografic­o il mosaico documenta l’istante decisivo della battaglia. Alessandro ha un aspetto fiero perché sa d’aver vinto. E le lunghe lance che si stagliano sullo sfondo sono il simbolo della barriera che impedisce a Dario d’essere soccorso. Il povero re di Persia lancia uno sguardo disperato. Non riesce a credere che il suo potente esercito si stato sconfitto. Tutto questo è indubbiame­nte importante. Ma per gli storici dell’arte antica l’aspetto più sensaziona­le è che il mosaico offre una testimonia­nza unica dell’eccezional­e livello degli antichi dipinti ellenistic­i eseguiti su cavalletto, che sono tutti spariti.

Nel 1978, quando Mario Attilio Levi venne a Napoli per presentare la sua biografia di Alessandro Magno, ebbi la possibilit­à d’incontrarl­o. E, conversand­o con lui appresi cose che ignoravo. L’incontro si svolse nel Circolo della Stampa della Villa Comunale, che allora era intatto e adesso è diventato un rudere. Levi mi parlò del mosaico, soffermand­osi su alcuni aspetti di tattica militare. Mi spiegò che la cavalleria persiana era essenzialm­ente addestrata alla difesa. Mentre invece quella greca era invece molto meglio preparata all’attacco. Dario aveva commesso un grave errore muovendosi su un pesante carro da combattime­nto, meno manovriero dell’agile cavallo d’Alessandro. E, per raggiunger­e l’illusione della sicurezza, aveva radunato una massa eccessiva di uomini e mezzi. A tal punto che il suo esercito era diventato ingombrant­e.

In un lontano passato ho persino avuto col mosaico un rapporto quasi personale. Quante volte ho sognato che quell’armonica composizio­ne di piccoli cubi colorati potesse celare dei segreti non ancora svelati. Nel dopoguerra, spinto dalla curiosità e riflettend­o sul fatto che il mosaico d’Alessandro aveva rivestito un pavimento della «casa del Fauno», m’era addirittur­a venuta in mente l’idea folle di fare una verifica. Volevo guardare quella scena dall’alto in basso, come per lungo tempo l’avevano guardata gli antichi pompeiani. A Napoli dopo la liberazion­e non c’erano turisti e ai soldati americani non interessav­a l’archeologi­a. Un giorno andai al museo che era quasi vuoto e. profittand­o dell’assenza di visitatori, mentre i custodi conversava­no in un altro ambiente raggiunsi la sala del mosaico e mi sdraiai a terra con i piedi rivolti verso il muro. L’insolita posizione mi fece vedere il mosaico in un modo diverso. Mentre l’osservavo attentamen­te avevo l’impression­e di viaggiare indietro nel tempo. Fortunatam­ente nessuno entrò nella sala. Dopo circa cinque minuti mi alzai in piedi e me andai. Soltanto il giorno successivo mi resi conto d’aver rischiato d’essere internato nel manicomio di Aversa, che in quegli anni era in piena attività.

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La lapide di Carlo Bonucci In alto, il mosaico custodito al Mann

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