Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Apicella: qui ritrovo le radici, ma per le donne che fatica

- Di Melania Guida

Separato da un morbido drappo bianco che divide in due il grande loft nel cuore del Lanificio, lo spazio della creazione (Punto Zero Atelier) ha il parquet ammortizza­to. Attutisce i colpi, spiega Valeria Apicella, danzatrice e performer, «quando salti non ti ammazzi». Lo collaudò a Venezia, ballando con Carolyn Carlson, una parentesi all’Isola del Giglio con danzatori da tutto il mondo, mentre a Parigi costruiva performanc­e con Paco Dècina.

«È la danza che mi ha scelto» ripeterà più volte nel corso di una chiacchier­ata che come un fiume in piena segna le tappe di una carriera apparentem­ente casuale, veloce e straordina­ria. Napoli, Lubecca, Parigi. E ritorno. Passando per Amsterdam, Venezia, Berlino. Tutto inizia con Mara Fusco. Ballerina classica, viene assunta dal Teatro di Stato di Lubecca. Non è abbastanza per un’energia potente come la sua. Sceglie il contempora­neo. Si forgia con il metodo Cunningham e la Contact Improvisat­ion, in Olanda. Mentre l’amore la porta a Parigi dove, occasional­mente, incontrerà Paco Dècina, coreografo di fama, anche lui napoletano.

Tra audizioni private e avventuros­e tournee con Pina Bausch e Sasha Waltz, Apicella ballerà e produrrà con lui per molti anni. Per poi fondare con Cyril Béghin, la «3.14», la sua compagnia. Fino al 2015, quando a 40 anni deciderà di lasciare la Francia e tornare a Napoli. «Avevo avuto un piccolo incidente di salute, ero incinta e con una relazione da cui scappare». Il resto è ancora una volta l’incrocio di circostanz­e fortuite, una per tutte l’incontro, a Berlino, con Jimmie Durham (una performanc­e realizzata a partire da un’opera dello scultore Cherokee) che lungo il tracciato di ineludibil­i sincronie la riproietta proprio in quel Lanificio dove aveva mosso i primi passi.

Si torna sempre alle origini? «Sì torna perché hai bisogno di essere vicina alla tua famiglia, a qualcosa di profondo di te. In fondo, penso sia qualcosa che ha a che fare anche con l’età». Che cosa ti manca di Parigi? «L’assenza di riconoscim­ento, soprattutt­o per quanto riguarda le donne. Rispetto alla Francia, qui è come se fossi sempre da sola. Manca la valorizzaz­ione del tuo potenziale, mancano le sinergie. E poi, diciamolo, non succede quasi mai nulla». Eppure hai fatto performanc­e di successo a Capodimont­e, stai rifinendo «Delayer», lo spettacolo per la prossima edizione del Campania teatro festival… «Le idee ci sono, ma è difficile la realizzazi­one. A Parigi gestivo fondi di stato. Facevo spettacoli, avevo co-produttori molto importanti. Certo, poi anche lì è cominciata la crisi».

Voglia di tornare? «Al netto delle difficoltà, il mio progetto è quello di restare qui. Da atleta sono diventata artista. Una ricercatri­ce che esplora la coreografi­a, la fotografia, la performanc­e e la scrittura poetica. A Napoli, non danzo più solo con il corpo».

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Valeria Apicella

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