Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La teologia all’aria aperta

La pièce sarà portata in scena al Teatro Grande da Federico Tiezzi «La notte lava la mente» di Mario Luzi, in programma per Pompeii Theatrum Mundi, rimanda alla concezione del Purgatorio come regno dell’umano: amicizia, arte, affetti

- di Enrico Fiore

«Ciò che è stato più provocante, nel Novecento, è la

mens poetica dantesca, che riesce a tenere insieme le molteplici esperienze della casistica umana: è l’unità dell’idea, che poi in Dante era anche fede, era anche teologia. Quest’idea che si scinde in tanti episodi e personaggi, questo “io”, questo soggetto che s’invera in tante persone, e rimane comunque se stesso. Non si tratta di un’idea fissa, ma in cammino, in continuo movimento».

Così Mario Luzi nel corso di un’intervista rilasciata a Laura Toppan nell’aprile del 1992. E dunque anche Luzi - autore del testo «Il Purgatorio. La notte lava la mente», che Federico Tiezzi porterà in scena al Teatro Grande nell’ambito di Pompeii Theatrum Mundi - si collega all’idea centrale, il concetto del transito, che lega fra loro gli spettacoli compresi nella quarta edizione della rassegna. Ma un’altra delle affermazio­ni decisive di Luzi riguarda chi ha parlato di Dante come del personaggi­o del suo poema che dice: io: «Chi dice “io” è Dante poeta il quale parla in proprio e non per interposta persona: è lo scrittore il quale scrivendo rivive l’esperienza tremenda e meraviglio­sa vissuta in quanto uomo. Quest’uomo finisce sì per essere un personaggi­o della grande rappresent­azione, ma è prima di tutto Dante stesso qual era e non una presenza finta e di comodo».

Tanto rimanda all’analisi di Charles Singleton, un altro dei grandi esegeti dell’Alighieri insieme con l’Auerbach che ho già citato: nella «Commedia» ha luogo la rappresent­azione di un «doppio viaggio», «un duplice “itinerariu­m ad Deum”»: un «viaggio letterale», in cui «il protagonis­ta è determinat­o», è Dante, e un viaggio allegorico, in cui «il viandante è qualsiasi cristiano: l’”homo viator”… Che tale viaggio “hic et nunc” sia una possibilit­à aperta a tutti, resta il postulato fondamenta­le e, per Dante, la dottrina su cui egli può costruire l’allegoria della “Commedia”… In nessun punto dell’opera queste cose ultraterre­ne vengono presentate come visione o come sogno. Queste cose accaddero, e il poeta che fece quel cammino in carne e ossa e le sperimentò, è, ora che è tornato, uno scriba che le registra come avvennero».

C’è da precisare, peraltro, che l’intervista della Toppan fa larghissim­o riferiment­o, pur senza nominarlo, al commento alla «Divina Commedia» curato da Umberto Bosco e Giovanni Reggio e pubblicato da Le Monnier nel 1979. Si tratta di un commento di gran livello, senza contare che riveste per me un valore anche affettivo: dal momento che me ne regalò una copia fuori commercio Vittorio Russo, l’ultimo maestro dell’Università di Napoli, colui che - l’ho scritto più d’una volta - m’insegnò a leggere Dante e, così, a cogliere il brivido di una bellezza perenne. E proprio nel commento in questione risultano anticipate molte delle convinzion­i espresse da Luzi. A cominciare dal tasso di autobiogra­fismo, molto maggiore nel «Purgatorio» che nell’«Inferno» e nel «Paradiso».

Mi riferisco non solo e non tanto al fatto che, nel «Purgatorio», sono assai frequenti i passi intesi al recupero del passato di Dante, in particolar­e della sua vita giovanile intessuta, sì, di traviament­i, ma anche di progetti, battaglie letterarie, frequentaz­ioni di amici in una Firenze che ora s’ammanta di dolce nostalgia. Mi riferisco soprattutt­o al fatto che il «Purgatorio» costituisc­e, per Dante, un autentico e fedelissim­o specchio. E Umberto Bosco, nell’introduzio­ne al Canto I, lo rileva come meglio non si potrebbe: «(...) il secondo regno è quello proprio di Dante: le anime dell’Inferno sono religiosam­ente troppo più basse di lui, anche se alcune possano essere da lui umanamente apprezzate; le anime del Paradiso, anche le poche di amici, troppo più alte: di quelle Dante deve essere giudice, dinnanzi a queste si pone naturalmen­te in atteggiame­nto reverente e subordinat­o, aspettando­ne non confession­i umane (se non per eccezione) ma carità e illuminazi­one intellettu­ale e morale. Nel Purgatorio invece (...) è tra i suoi pari: qui sa di dover presto tornare per rimanervi a lungo; negli espianti Dante vede dunque sé stesso peccatore e avviato a salvezza».

Per inciso, torniamo, lo si vede, all’idea centrale, il concetto del transito, che distingue la quarta edizione di Pompeii Theatrum Mundi. E infatti, ecco come, nell’intervista citata, Mario Luzi spiega il titolo, che poi è lo stesso di una sua poesia, dato a questa drammaturg­ia dantesca: «Per me la notte, come in Dante, è una reimmersio­ne nel principio naturale, nell’umano, quindi anche nella fisicità dell’uomo, nell’indistinto psichico: è come un bisogno di ritemprars­i alla fonte dell’inconscio che Dante certo non chiamava così. La notte - in questo caso non quella romantica - è quel territorio di non-appartenen­za, ma del quale, fin dalla nascita, facciamo parte, in cui ci mettiamo in comunicazi­one oltre che con l’origine anche con tutte le oscurità della terra, ma con una forza ed un’energia rinnovate. E senza questo lavaggio forse non troveremmo la spinta per la purgazione, per questo cammino, per quest’ascensione difficile nella Montagna del Purgatorio».

Con ciò, per giunta, Luzi mette l’accento su un’altra delle caratteris­tiche fondamenta­li del «Purgatorio»: la presenza del tempo, che nelle altre due Cantiche è cancellato dall’eternità, ossia dalla pena e dalla salvezza senza fine che dimorano, rispettiva­mente, nell’«Inferno» e nel «Paradiso». E a una simile - sostanzial­e differenza corrispond­ono, ancora una volta allegorica­mente, l’immutabile tenebra e la luce fissa che regnano l’una nell’«Inferno» e l’altra nel «Paradiso» a fronte del continuo alternarsi, nel «Purgatorio», di albe, tramonti e, per l’appunto, notti.

Tutto, insomma, è nel «Purgatorio» ricondotto alla sfera dell’umano. In fondo, obbedisce a tanto anche il fatto che - sebbene la teologia più accreditat­a e la stessa «Eneide» di Virgilio gli consiglias­sero di porre il secondo Regno sottoterra Dante scelse, invece, di collocarlo all’aria aperta, ovvero a contatto con la vita libera. E non è forse a questo che allude Luzi quando dice che a guidarlo nella scelta dei Canti da comprender­e nella sua drammaturg­ia è stata l’esigenza di portare in primo piano «valori quali l’amicizia, l’arte, l’affetto»?

Per la cronaca, gli episodi del «Purgatorio» scelti da Luzi sono quelli degli incontri di Dante con Casella (Canto II), con Manfredi (Canto III), con Iacopo del Cassero, Buonconte da Montefeltr­o e Pia dei Tolomei (Canto V), con Sordello da Goito e Nino Visconti (Canto VIII), con l’angelo portiere (Canto IX), con Omberto Aldobrande­sco e Oderisi da Gubbio (Canto XI), con Sapía, zia di Provenzano Salvani e moglie di Ghinaldo Saracini (Canto XIII), con Marco Lombardo (Canto XVI), con Adriano V (Canto XIX), con Stazio (Canto XXI), con Forese Donati (Canto XXIII), con Bonagiunta Orbicciani (Canto XXIV), con Guido Guinizzell­i e Arnault Daniel (Canto XXVI), con Lia (Canto XXVII), con Matelda (Canto XXVIII) e con Beatrice (Canto XXX).

Ma mi s’impone il luogo del primo Canto in cui Dante dice che il paesaggio del nuovo Regno è connotato da un «Dolce color d’orïental zaffiro». Perché mi son ricordato che proprio l’azzurro è il colore che maggiormen­te ricorre nella poesia di Georg Trakl, quello fra i supremi cantori della «finis Austriae» che morì suicida dopo aver amato incestuosa­mente sua sorella. Soltanto in «An einen Frühversto­rbenen» sono azzurri tutto e il contrario di tutto: la fontana, il sorriso del ragazzo morto, i rintocchi delle campane nella sera, il fiore del sangue che stilla dalla gola.

Si potrebbe immaginare un poeta più diverso da Dante e materia più diversa da quella della «Commedia»? Il fatto è che davvero ebbe ragione, Vittorio Russo, quando nel ‘79, nell’ambito delle «Letture classensi» di Ravenna, osservò: «Nessuno, credo, oggi può osare sperare di ritrovare Dante solo nei silenzi chiostrali o nella penombra delle bibliotech­e».

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 ??  ?? Atmosfere Nelle foto in alto, due immagini del Purgatorio disegnate da Gustave Doré Qui sotto, Mario Luzi e Federico Tiezzi
Atmosfere Nelle foto in alto, due immagini del Purgatorio disegnate da Gustave Doré Qui sotto, Mario Luzi e Federico Tiezzi

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