Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Una politica urbana che salvi il terziario nell’era post-covid
Nell’Italia post-covid l’intervento pubblico dovrà avere necessariamente un elevato carattere «urbano» a causa della forte concentrazione nelle città del terziario più colpito (turismo, cultura, distribuzione) e dell’acuirsi in queste realtà delle diseguaglianze sociali. Ciò rende le città e il territorio soggetti decisivi per gli obiettivi del Piano di Riforma e resilienza (Pnrr) e per le linee d’intervento previste. Con un limite, però. Perché queste linee finora sono costrette all’interno di una logica settoriale. Ad esempio tra la linea riguardante la transizione energetica e la mobilità locale sostenibile e quella riguardante le infrastrutture per una mobilità sostenibile.
Questa prevalente settorialità andrebbe invece corretta con una logica d’integrazione e coesione territoriale, del resto prevista dal principio di coerenza individuato nei criteri di valutazione del Piano stabiliti dalla Commissione Europea. Lo osserva con forza un documento del Centro nazionale di studi per le politiche urbane (Urban@it) promosso da Walter Vitali ex sindaco di Bologna e a cura di un gruppo di esperti con Gianfranco Viesti, Sandro Balducci e Gabriele Pasqui tra i più noti.
La prospettiva suggerita è quella della costruzione di quadri strategici spazializzati, da utilizzare per l’integrazione delle diverse fonti di finanziamento, andando oltre lo stesso Pnnr, con la legislazione ordinaria e il nuovo ciclo di Programmazione della politica di coesione europea 2021-2027. Tenendo presente che, secondo quanto sostenuto dal Forum Diseguaglianze e Diversità di Fabrizio Barca ben il 60% delle risorse del Pnrr ricade sugli enti locali. Comportando un problema di non poco conto a causa della fortissima riduzione di personale, pari al circa il 25%, che le amministrazioni locali hanno subìto nell’ultimo decennio. Si rende necessario quindi il reclutamento di personale, con assunzioni a tempo determinato in qualifiche professionali relative al settore degli investimenti, andando oltre lo stanziamento già previsto di 210 milioni di euro. Si tratta non soltanto di puntare sulle città medie, ma di considerare che la pandemia ha innescato una più ampia modificazione del rapporto tra i luoghi, attribuendo alla dimensione territoriale un nuovo significato. Che sollecita a guardare il territorio in un’ottica attenta alla molteplice articolazione di aree centrali e aree marginali, trattando la dimensione ambientale insieme a quella logistica e di welfare. In questa direzione si muove il
Manifesto per riabitare l’Italia curato da Domenico Cersosimo e Carmine Donzelli. Che punta su una nuova visione metrorurale, fondata sull’interdipendenza e la cooperazione dei diversi sistemi territoriali. Una visione da sorreggere con una profonda innovazione nelle politiche territoriali attingendo anche alle migliori esperienze di rigenerazione delle aree interne che promuovono l’accelerazione dello sviluppo dei territori, intrecciando salute, accesso alle tecnologie, dotazione dei servizi, sostegno alle microeconomie. La costruzione di questi quadri strategici spazializzati dovrebbe articolarsi con il supporto delle Regioni. Riprendendo la Strategia delle Aree interne avviata nel 2012 e successivamente adottata nel Programma nazionale di Riforma nel 2014. Questa in Campania ha individuato quattro aree interne: Alta Irpinia, Vallo di Diano, Cilento interno, Tammaro-Titerno, e ha indicato come area pilota l’Alta Irpinia, complessivamente 270 comuni sul totale regionale di 550. Riattivando l’intera Strategia nazionale, che pur interessando un sesto dell’intero territorio non ha ricevuto finora un adeguato sostegno, praticamente sommersa dal generale disinteresse. Ora invece la pandemia ha fatto emergere l’esigenza di nuove prospettive, ben oltre le suggestioni di fantasiose rigenerazioni dei borghi. E rende necessario superare le letture dicotomiche dei territori, lavorando sulle interdipendenze e affiancando alla stessa Strategia nazionale aree interne una politica urbana, purtroppo discontinua sia a livello nazionale che regionale. Serve in sostanza un intervento sulle aree fragili e marginali sostenuto dal coinvolgimento della rete delle città medie.