Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Roberti: sto con Giovanna Spesso gli onesti soccombono alla vergogna
L’ex pm e il caso della dirigente del Miur indagata che ha tentato il suicidio: credo in lei
Conosco bene Giovanna Boda, la dirigente del Miur che ieri ha tentato il suicidio, ed è ora in gravi condizioni, dopo aver subìto una perquisizione domiciliare perché indagata per corruzione». Su Fb scrive Franco Roberti, oggi europarlamentare del Pd ma per anni pm in prima linea.
«Conosco bene Giovanna Boda, la dirigente del Miur che ieri ha tentato il suicidio, ed è ora in gravi condizioni, dopo aver subìto una perquisizione domiciliare perché indagata per corruzione». Su Facebook scrive Franco Roberti, oggi europarlamentare del Pd ma per anni pubblico ministero in prima linea, e il post colpisce come un pugno allo stomaco: «L’ho conosciuta qualche anno fa come animatrice degli incontri sulla legalità nelle scuole e animatrice della “nave della legalità”, che il 23 maggio di ogni anno portava migliaia di studenti a Palermo per ricordare la strage di Capaci. È una persona incantevole, bella e brava, totalmente dedita alla educazione dei giovani come a una missione».
Nei giorni scorsi Giovanna Boda si è vista notificare dalla Guardia di Finanza un decreto di perquisizione per la sua casa, il suo ufficio e una soffitta di cui ha la disponibilità; è indagata per corruzione in concorso con Federico Bianchi di Castelbianco, che tra le altre attività è anche l’editore dell’agenzia Dire. Secondo l’ipotesi accusatoria della Procura di Roma, grazie a Boda — capo del Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali del Ministero — Bianchi si sarebbe aggiudicato due appalti da quasi 40.000 euro ciascuno, mentre la dirigente avrebbe ottenuto una contropartita «con somme di denaro e utilità per sé e per terzi per complessivi 679.776,65 euro», disponendo anche di una carta di credito dell’editore. Certamente l’accusa colpisce: Bianchi avrebbe versato poco meno di 700.000 euro per ricavarne circa 80.000. Mercoledì mattina, mentre era nello studio del suo avvocato, la dirigente ha aperto all’improvviso la finestra e si è lanciata nel vuoto.
Roberti, ovviamente, non entra nel merito dell’inchiesta, ma esterna il suo stato d’animo di uomo e magistrato: «Con tutto il rispetto per il difficile lavoro della magistratura, per me è impensabile che si sia lasciata corrompere e mi auguro che la sua estraneità alle accuse venga accertata al più presto». La vicenda di Giovanna Boda ha colpito Franco Roberti anche perché ricorda la tragedia che nel 2009 segnò la famiglia dell’ex magistrato. Salvatore Franzese, cognato di Roberti (era il marito della sorella Rita) e primario della Chirurgia oncologica del Cardarelli, si uccise nel suo studio con un’iniezione in vena. Era indagato e aveva subìto un a perquisizione; le presunte irregolarità riguardavano i rapporti del professionista con una casa di cura privata e l’attività di intramoenia.
Prima di suicidarsi aveva scritto una lettera indirizzata alle tre figlie, Sara, Alberta e Carolina: «Mi ritengo e credo di essere una persona profondamente onesta». Aveva anche invitato le ragazze a lasciare Napoli, come poi loro hanno fatto. «Era offeso, oltraggiato» commentò la moglie, «diceva di non essere più a suo agio in questo mondo».
«So bene, per triste esperienza familiare — scrive dunque Roberti a proposito di Giovanna Boda — come una persona onesta, sottoposta a indagini e perquisizione, con l’inevitabile coda mediatica possa soccombere alla vergogna e ricorrere al gesto estremo per gridare al mondo la propria innocenza. Lo so bene e so pure che spesso basterebbe una parola di conforto per evitare la tragedia. È un tema su cui dovremmo interrogarci. Sono vicino a Giovanna e alla sua famiglia».
Numerosissimi i commenti sulla stessa lunghezza d’onda e gli inviti a magistrati e giornalisti ad agire con ponderazione e rispetto.
Proprio ai giornalisti e a un certo modo di raccontare i fatti si è riferito Federico Bianchi di Castelbianco in un’intervista al Corriere della Sera: «Con Giovanna ci conosciamo da vent’anni. Io le voglio bene, come lei vuole bene a me, la stimo tantissimo, so come si prodiga per chi ha bisogno. Frasi del tipo: “Siamo la rete del bene” le dice sempre. E invece le ho viste riportate contro di lei, come se parlasse di chissà che lobby». E ancora: «Stiamo parlando di gare. Io lavoro da almeno vent’anni col Miur su bandi di gara. Ne avrò fatte almeno 600, da l’Aquila al Veneto,
alla Sicilia. Non vedo come avrebbe potuto favorirmi. È stato attaccato a questa inchiesta il fatto che suo marito è un magistrato, chi l’avrebbe o non l’avrebbe appoggiato per la nomina, che lei era nelle chat di Palamara, che conosce Maria Elena Boschi. Tutti pezzi da novanta, in confronto dei quali io non sono nessuno e mi sembra di essere stato solo un gancio per arrivare a questo. Ma Giovanna con Boschi al Dipartimento delle Pari opportunità ci lavorava. E con Palamara parlavano tutti. “Facciamo squadra” è la frase che ripeteva sempre. Per una persona delicata come lei il peso penso sia stato schiacciante».
Il post
«Comprendo il difficile lavoro dei magistrati ma ho una triste esperienza familiare»