Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Dal dentifricio agli ansiolitici
Uno degli effetti secondari del Covid-19 (con le varianti che circolano, ora sarà diventato come minimo Covid-19.2) reperibile nel quotidiano televisivo di noi tutti, è quello della moltiplicazione degli spot degli ansiolitici.
Da qualche mese, la frequenza delle pubblicità dei medicinali da banco studiati per contrastare l’ansia lieve è diventata così ingente da farti venire la nostalgia del dentifricio (roba che al terzo spot di gente che guarda nel vuoto alla ricerca del senso della vita ti chiedi che fine ha fatto lo sputacchiatore che soffre di sanguinamento gengivale o il vecchietto felice di aver trovato l’adesivo giusto per la dentiera).
Io non so se l’ansia lieve esista davvero. Se sia scientificamente catalogata o l’abbiano inventata in laboratorio (pubblicitario). Quello che mi fa pensare a una categoria merceologica (anche perché ne spiega la presenza nel marketing delle paure contemporanee) è l’aggettivo «lieve», messo lì per sdrammatizzare il disturbo.
Quella del ridimensionamento è un’attitudine tipica di questi tempi.
La nostra cultura è sempre meno disponibile a pronunciare una parola compiuta, che si assuma la responsabilità della definizione. Quando lo fa, al massimo ammette l’esistenza di ciò di cui parla; e ci aggiunge l’aggettivo per ridurne la gravità. Come se scontasse la parola in partenza. In un certo senso, rimangiandosela.
Il fatto è che l’ansia, anche quando è attivata da un pericolo attuale o da un precedente traumatico, è uno stato psicologico irrazionale; ed è l’irrazionalità a governare la psiche. Perché è innegabile (benché illogico) che ciò che non vediamo conta (o almeno pesa) di più di quello che appare ai nostri occhi.
Se, allora, la diffusione dell’ansia lieve è dovuta (come la pubblicità dimostra) al virus, il messaggio trasmesso dal marketing degli ansiolitici leggeri (come della melatonina e di altri stimolanti del sonno), è che il male psicologico generato dal Covid sarebbe una sottocategoria dell’ansia, così poco preoccupante da poter essere contrastata con un farmaco da banco, che spesso ha pure l’ansia nel nome (il che fa anche ridere, come se al supermercato vedessi una falanghina cha ha scritto «Biancovin» sull’etichetta).
Ma la domanda da porsi quando si viene colti da una sintomatologia ansiosa è: come si fa a coglierne la lievità? Se è vero – come spesso si sente in giro – che si può essere depressi senza saperlo, tant’è c’è gente che sbrocca da un momento all’altro salvo poi venire informata che soffriva di depressione da un pezzo, chi me lo dice che la mia ansia, anche se riesco a tollerarla, è davvero lieve o ha raggiunto una gradazione per la quale non sono sufficienti i farmaci da banco?
La risposta sarebbe da cercare nella cronaca. Se prima del Covid non eri ansioso, vuol dire che l’ansia che provi adesso è dovuta al Covid, e quindi è lieve; se lo eri già prima, due sono le possibilità: o avevi ragione ad essere ansioso in tempi non sospetti (che comunque è una soddisfazione), oppure l’ansia di cui soffrivi, adesso che può confondersi nel mare magnun di quella lieve generata dal Covid, è sulla buona strada del mezzo gaudio, per cui potresti curarla anche con i farmaci da banco e risparmiare sull’analista.
E anche questa demenziale (ma a suo modo inoppugnabile) conclusione, è un effetto secondario del Covid, che ci racconta come siamo ridotti.
A sabato prossimo.