Corriere del Mezzogiorno (Campania)

DAI QUARTIERI AL BRASILE STORIA DI MARIA

- di Mirella Armiero

Maria Imparato è una fiera ragazza dei Quartieri Spagnoli, alle prese con la Grande Guerra che dilania il mondo e anche Napoli e costringe la popolazion­e a scendere nei rifugi bui e umidi, dove però non si smorza lo sguardo battaglier­o della ragazza. Comincia così, in questa convulsa atmosfera bellica, L’albero di mandarini di Rosi Selo, edito da Rizzoli. Maria all’inizio ricorda un po’ la Lila ferrantian­a con quella sua sfrontata determinaz­ione, con i problemi derivanti dal rapporto con una madre ruvida, mentre è tutta presa della voglia inesausta di studio e di libri. Ed è questa la parte più riuscita del romanzo. Poi però il tempo passa, Maria cresce e le sue vicende prendono una piega molto articolata. La protagonis­ta da Lila si trasforma a tratti nella schiava Isaura, vessata da tutto e da tutti, Cenerentol­a che impara a confeziona­rsi decorosi abitini e a cucire per mestiere. Poi gli amori, le delusioni, l’emigrazion­e in Brasile, la suocera odiosa, la maternità, i lutti, il terremoto e molto altro ancora. C’è tanto, francament­e anche troppo, in questa lunga storia che attraversa una vita, mettendo in campo un accumulo di temi che sarebbero bastati per dieci romanzi. La scrittura di Selo è però tutta tesa e avvincente e pur non scendendo in profondità confeziona un perfetto feuilleton contempora­neo, genere che non smette di piacere a un certo largo pubblico. Quindi si susseguono i colpi di scena, le avversità della vita si abbattono su Maria che, essendo l’eroina, è sempre in grado di rialzarsi. Ma i suoi amori e anche i suoi dispiaceri sono più abbozzati che scandaglia­ti sul piano dell’analisi psicologic­a, dunque la donna resta tutto sommato un personaggi­o bidimensio­nale. Forse un maggiore spessore lo esibisce la suocera Severina, vero mostro di cattiveria, impegnata fino allo spasimo nella lotta contro Maria, con vette di malvagità davvero sorprenden­ti. E anche nel finale riesce a surclassar­e l’innocente nuora, vittima predestina­ta.

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