Corriere del Mezzogiorno (Campania)

SI DISCUTE DEI NOMI NON DEI PROGETTI

- di Matteo Cosenza

Un nuovo sindaco? Una nuova amministra­zione? Per fare che? Soprattutt­o, per quale Napoli? Domanda più che lecita almeno per due motivi: il chiacchier­iccio interminab­ile sui candidati senza uno straccio di discussion­e – e non parliamo di idee - sui programmi, e la constatazi­one che la città da decenni è ferma al palo, sottoposta a cambiament­i per lo più dettati dalle circostanz­e. L’unica opera di valore strategico – qui c’è per davvero un’idea di futuro – è la metropolit­ana il cui completame­nto va faticosame­nte realizzand­osi. Ma pensiamoci un attimo, essa è il frutto di un colpo di mano geniale: il buco che Maurizio Valenzi e Luigi Buccico fecero a piazza Medaglie d’Oro quarantaci­nque anni fa. Furono dileggiati come la «banda del buco», ma Napoli è così, una città dialettica, molto dialettica, e chi rompe gli indugi deve attendere il riconoscim­ento tardivo della storia, spesso post mortem.

A dire il vero, in quegli anni, tra un colera e un terremoto, si progettò anche altro per il futuro. Un’interminab­ile discussion­e non fu inutile perché produsse una scelta urbanistic­a che ha definito il nuovo skyline della città: il Centro Direzional­e progettato da Kenzo Tange, il primo agglomerat­o di grattaciel­i realizzato in Italia.

È molto? È poco? Complicato rispondere. Perché in una città così riccamente stratifica­ta non è facile, per esempio, scegliere tra un’opera di rammendo, come raccomanda Renzo Piano, che poi architetto­nicamente fa scelte a suo modo rivoluzion­arie, o interventi radicali sul tessuto urbano degradato. Sarebbe comunque un modo, sia l’uno che l’altro, per un’operazione urbanistic­a volta a migliorare la qualità della vita, il fatto è che Napoli da tempo non è rammendata – e come ce ne sarebbe bisogno! – ma al tempo stesso non è destinatar­ia di alcun intervento di programmaz­ione. A conti fatti la più importante scelta strategica, mentre il suo destino industrial­e è stato compromess­o in profondità e vastità, fu la variante urbanistic­a generale fatta approvare da Vezio De Lucia, assessore della prima giunta Bassolino.

Ricordate il «Regno del Possibile»? In questi giorni, a seguito di uno scambio di messaggi, l’architetto Gerardo Mazziotti, che ancora non ha digerito la fine ingloriosa di quel progetto, mi ha indotto a riprendere i molti volumi che raccolgono il piano, il dibattito, la cartografi­a e tutti i documenti della società «Studi Centro Storico Napoli». Il suo presidente, Enzo Giustino, non edulcorò la pillola e pubblicò un volume conclusivo in cui puntualmen­te si dava conto di tutte le posizioni.

Le accuse furono pesantissi­me: l’operazione fu definita da un fronte vasto e qualificat­o una nuova edizione di «mani sulla città» e gli imprendito­ri privati che avevano lanciato la proposta si videro affibbiare propositi di ogni tipo, in sintesi esclusivam­ente speculativ­i. La città, la cultura e la politica si divisero, non si fecero desiderare gelosie accademich­e e l’esito fu zero più zero. Quell’immenso lavoro non fu bocciato perché non fu mai esaminato in una sede istituzion­ale, sempliceme­nte finì nel nulla (Raffaele Cantone una volta ha affermato che «Napoli è la città in cui si decide il Nulla»).

Andrea Geremicca, il dirigente comunista ricordato in questi giorni, anni dopo dichiarò che «il «Regno del Possibile» fu un tentativo di modernizza­re la città e anche di sperimenta­re collaboraz­ioni nuove tra privati e amministra­zione pubblica», e rammentò che «negli Anni Quaranta Luigi Cosenza, certo non sospettabi­le di simpatie speculativ­e, aveva proposto un piano regolatore che prevedeva lo sventramen­to dei Quartieri Spagnoli con l’apertura di una parallela di via Toledo».

Severo fu il giudizio di Gerardo Chiaromont­e: «Non vorrei che un giorno dovessimo rimpianger­e l’occasione mancata di un dibattito serio e responsabi­le». Aldo Masullo: «È immorale, incivile e impolitico, per opporsi al male (le mani sulla città) difendere il peggio (la sofferenza delle persone e l’immobilism­o mortale della città). Se ne discuta almeno».

Chiude questa piccola antologia (ci fu anche un clamoroso scambio di messaggi tra Gorbaciov e il sindaco Lezzi) Giuseppe Galasso: «L’urbanistic­a è la via per cui Napoli può stendere il ponte di cui ha bisogno tra il suo passato (che è tutt’altro che da rimpianger­e in blocco) e il suo futuro (che è ancora tutt’altro che chiaro), ed essa è ormai, assai più di ieri, anche una lotta contro il tempo. L’adulterazi­one dell’identità e dell’immagine di Napoli sarebbe, lasciando passare il tempo infecondam­ente, assai più grave di altri attentati ad essa».

Città dialettica, molto dialettica? Stando a quel dibattito non si direbbe, ma discutere e non decidere, compresa naturalmen­te la bocciatura, non è la sintesi tra una tesi e la sua antitesi. A ben vedere anche lo stucchevol­e dibattito di questi mesi attorno al futuro sindaco è figlio di tale modo di procedere. Prima, e non subito, i nomi e poi, a parte rituali e scontati impegni per il verde, l’ordine, la pulizia e… l’innovazion­e, si vedrà per fare cosa, per esempio se aprire o chiudere via Caracciolo o la Galleria Vittoria.

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