Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Un amore di nonna che sa inventare la felicità
Non è un’ambizione troppo grande. Non è un miraggio. Si può essere felici in qualsiasi momento della propria vita. Parte da quest’affermazione, che non ammette punto di domanda o esitazione, il romanzo d’esordio di Benedetta Gargano L’invenzione della felicità (Solferino). Scrittura leggera e sguardo profondo su temi di grande attualità per una vicenda che si legge tutta d’un fiato, senza nessuna titubanza da opera prima, priva di qualsiasi acerbità.
Benedetta Gargano ha una grande confidenza con la parola scritta, è sceneggiatrice per la Rai di fiction di successo come «Un posto al sole» e «Il Paradiso delle signore». Anche se non lo avrebbe mai immaginato quando studiava da architetto, ha trasformato la scrittura nella sua professione. Una passione maturata presto e poi la svolta. «Ho desiderato scrivere fin da quando ero bambina. Ho conservato per anni la macchina da scrivere giocattolo di plastica azzurra che mi regalò mia nonna. Frequentavo la facoltà di architettura quando lessi dell’apertura della Scuola Holden di Baricco. Mi sembrò subito un’opportunità unica, in fondo in Italia la scrittura creativa non ha ancora trovato una sua collocazione accademica e, pronta a combattere fino all’ultimo sangue, comunicai a mia madre la mia intenzione di lasciare l’università per andare a Torino. Lei seppe spiazzarmi approvando subito il mio progetto. Mi iscrissi al corso di sceneggiatura e credo di dovere molto a quella scuola».
Come è nata l’esigenza di scrivere un romanzo?
«Sono stata attirata dall’idea di sperimentare un tipo di scrittura in cui il processo creativo è più misterioso, meno governabile. La sceneggiatura è un genere molto codificato e quindi in qualche modo più semplice. La scrittura di un romanzo ha però qualcosa di magico, per quanto io abbia ragionato da sceneggiatrice, ci sono stati capitoli in cui un aggettivo mi ha portato da un’altra parte».
La vicenda di Benedetta, che accoglie nella sua casa la nonna per sottrarla all’ospizio, è autobiografica?
«La vicenda relativa alla convivenza con la nonna è vera ma su di essa ho innestato una trama fiction. Benedetta è il mio alter ego e i temi trattati sono personali. Tuttavia, come si legge in copertina, il libro è un romanzo perché la realtà è stata rimaneggiata con aspetti di finzione necessari a dare alla storia una direzione verso un finale che non fosse scontato già dall’inizio».
Lei crede davvero che la felicità si possa inventare?
«Quello che io ho imparato nei tre anni di convivenza con la nonna è che la felicità si può effettivamente costruire con caparbietà in qualsiasi momento della vita. Lei mi ha dato un insegnamento prezioso e l’esempio di come la vecchiaia si possa vivere con grande dignità e senza prendersi troppo sul serio».
È una storia di amore e di accudimento dove i ruoli spesso si invertono.
«Benedetta non può avere figli ma la nonna le regala l’esperienza della maternità, facendole provare l’amore viscerale che lega una madre a un figlio. È un affetto materno che la spinge a sconvolgere completamente la sua vita, i suoi spazi, il suo matrimonio».
Personaggi credibili fino in fondo. La relazione matrimoniale è raccontata con grande verità.
«L’amore è solo uno degli aspetti su cui si fonda la relazione tra marito e moglie. È molto difficile per una coppia sottrarsi al porto sicuro della routine e imparare a vivere una nuova vita. È ciò che si può apprendere dalla nonna che transita di casa in casa, lasciandosi alle spalle tante esperienze e trovando sempre la forza di ricominciare».
È la capacità di sintonizzarsi con la vita, anche quando cambia, e credo sia questa la sua più importante eredità per la nipote.
«La nonna è in grande sintonia con se stessa. Sa cosa è bene per lei. Si conosce, sa volersi bene. Tutti noi abbiamo un carico di disamore che ci portiamo dietro, il nostro modo di farci del male anche nelle cose più banali. Mia nonna sapeva avere cura di se stessa. L’unico giorno in cui non si è vestita è stato il giorno della sua morte».
Benedetta si rimette in gioco, capovolge la sua vita, inizia una dieta e prova l’ebbrezza e il disagio di vedersi diversa.
«Conosco bene questo tipo di disagio perché è stato anche il mio. Il grasso è identità e separarsene significa dover fare i conti con un’altra persona. Cambiano le regole della socialità e le risposte degli altri che ti percepiscono diversa. C’è uno spaesamento che si accompagna alla percezione del cambiamento del tuo corpo».
Si corre spesso il rischio di adagiarsi. Benedetta sembra arresa al suo corpo finché non decide di sperimentarsi. Anche in questo la nonna ha un ruolo importante.
«Quando la nonna arriva a casa, la protagonista sente in sé una forza che non sospettava di avere. L’idea di aver fatto la scelta giusta per sua nonna diventa una sorta di scudo magico con cui sconfigge la paura di intraprendere l’ennesima dieta fallimentare».
Il corpo femminile ha un ruolo centrale nel dibattito attuale sulla diversità e la parità di genere.
«Solo ultimamente si parla in maniera esplicita dell’accettazione del corpo. Ci sono tante donne che subiscono storie di disamore, di umiliazione, di giudizio per questo motivo. Credo che nessuno debba essere giudicato per la forma fisica, ma che tutti abbiano il diritto di sentirsi bene col proprio corpo».
Scrittura e cucina «Sono intimamente collegate, in fondo ogni ricetta è a suo modo un racconto»
La protagonista del romanzo condivide con lei anche la passione per la cucina. Si può dire che la cucina abbia delle affinità con lo scrivere?
«Cucinare è un gesto d’amore. Per me significa riannodare una tradizione familiare ma è anche esercitare un atto di libertà. Una ribellione che ho attuato sperimentando piatti della cucina esotica. Sicuramente c’è un legame tra lo scrivere e il cucinare perché una ricetta è sempre un racconto che pretende il coinvolgimento dei sensi. Bisogna trovare le parole per il rumore dell’insalata russa, per il colore del ragù».
La cucina sarà protagonista della presentazione del libro.
«Ho avuto un’idea un po’ folle: regalerò il mio ragù a tutti i lettori. Sono già all’opera».