Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La Camera penale di Napoli con il giudice Cerabona
La Camera penale di Napoli interviene nella polemica sulla giudice Ambra Cerabona, figlia dell’avvocato Michele, noto penalista e componente laico del Csm; la giudice celebrerà un’udienza preliminare per decidere sul rinvio a giudizio dei fratelli Cesaro, imputati di concorso esterno in associazione camorristica. «Non si tratta — si legge in una nota a firma del presidente, Marco Campora — di esprimere solidarietà alla dottoressa Cerabona, che non ne ha bisogno, essendosi attenuta al completo rispetto delle norme. Dai giornali apprendiamo che Cerabona avrebbe presentato una richiesta di astensione per ragioni di opportunità, non accolta dal presidente del Tribunale che evidentemente non ha ritenuto che sussistessero gli estremi. Il tema che riteniamo rilevante è un altro ed attiene proprio all’alone di ingiustificato sospetto che si è creato nei confronti del gup Cerabona per l’unica ragione di essere figlia di Michele Cerabona, che in passato ha difeso anche l’ex presidente del Consiglio e di Forza Italia, Silvio Berlusconi. Il ragionamento sarebbe grossomodo questo: siccome il padre del giudice ha difeso Silvio Berlusconi e poiché è stato eletto al Csm su proposta di Forza Italia, la figlia non sarebbe compatibile a giudicare il processo poiché in esso è imputato un importante esponente di quel partito. A noi — prosegue Campora — un sospetto così articolato appare incomprensibile stante l’assoluta lontananza ed evanescenza del collegamento, laddove mai è stato neppure ipotizzato che la dottoressa Cerabona abbia una sia pur minima conoscenza e/o rapporto con i fratelli Cesaro. I dubbi insinuanti avanzati sembrano risolversi nel tentativo di condizionare l’attività del giudicante, di comprimere la sua autonomia ed indipendenza di giudizio; di indurlo a dovere fornire la prova positiva di non essere sospetto. Prova che può essere fornita in un solo modo: condannando o rinviando a giudizio gli imputati. Non si può continuare a ragionare così, minando dalle fondamenta i capisaldi che regolano l’esercizio della funzione giurisdizionale».