Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Per i beni culturali un patto pubblico-privati
Quando, nel 1993, il ministro dei beni culturali dell’epoca, concepì la legge n. 4 del 14/01/1993, più nota come legge Ronchey, già si sentì la necessità di istituire i cosiddetti «servizi aggiuntivi» ai musei.
In tal modo si faceva riferimento al complesso delle iniziative che i musei avrebbero dovuto mettere in atto per sempre più essere in contatto con i loro visitatori. A partire da quel momento si attivarono collaborazioni sempre più intense tra pubblico e privato, dalla gestione dei servizi di biglietteria, dei bookshop, e più recentemente della digitalizzazione.
L’ apporto dei privati nel panorama del «mercato museale» si è ancora più ampliato proprio quando è divenuta centrale e ineludibile la questione del rapporto tra museo e suo fruitore. L’introduzione di tecniche del cosiddetto
marketing mix – dalla segmentazione dei pubblici di riferimento, dalla necessità di posizionamento nell’ambito del mercato, alla dialettica tra domanda e offerta di servizi – fa pensare ai musei come imprese culturali, che, per la loro conduzione, si ritiene, debba essere sempre più coinvolto il privato, quale sponsor, finanziatore, attivatore di sviluppo per una gestione imprenditoriale ed uno sfruttamento economico dei musei. A partire da quest’ottica, prende vita una polemica tra i sostenitori dell’intervento dei privati, in grado di produrre un incremento dei consumi da parte dell’utenza, tale da generare introiti in grado di coprire i costi di gestione ed assicurare utili, e i difensori del pubblico, che condannano ogni forma di attività commerciale collegata alle funzioni istituzionali dei musei.
In tale quadro, la promozione e la valorizzazione dei beni culturali, affidata per legge alle Regioni, assume un ruolo significativo che in Campania viene interpretato attraverso lo sviluppo di eventi di grande attrattività, in grado di garantire soprattutto un ritorno di immagine, però, in tal modo assorbendo quote considerevoli di risorse, a scapito dei musei e delle istituzioni permanenti. Anche il «privato», inteso come gestore e finanziatore, inizia perciò ad affacciarsi al mondo dei musei, proprio nei settori dei grandi eventi e dell’intervento straordinario per i beni culturali: le iniziative sono cosi rese possibili grazie al finanziamento diretto delle amministrazioni, integrato dal contributo dei privati (sponsorizzazione), con un ritorno d’immagine e pubblicità per le imprese.
Il dibattito che si è avviato intorno alla vicenda del Monte di Pietà di San Biagio dei Librai, sicuramente, tiene dentro diversi degli aspetti a cui sin qui si è accennato, poiché, in assenza di una strategia di rilancio dei musei, questi ultimi si trovano a dibattere tra la loro visione etica di struttura educativa, preposta alla tutela, ricerca, conservazione e divulgazione del patrimonio culturale e la dimensione economica, che consiste nell’utilizzo prevalente delle opere e dei beni per finalità di reddito.
La dialettica tra visione etica e economia è realmente oppositiva oppure è possibile porre in continuità i due aspetti, al fine di evitare che i musei e le istituzioni permanenti si riducano sempre più custodi di opere ed oggetti?
Se rivolgiamo il nostro sguardo a due soli esempi di investimento del Pubblico sui beni culturali in Campania, si para davanti a noi una condizione di sperpero e al tempo stesso di immobilismo.
Al fine di evitare che il privato potesse sottrarre alla fruizione pubblica Palazzo Penne di Napoli, la Regione nel 2003 lo acquistò per 4 milioni e mezzo di euro, stanziandone altri 13 e mezzo per il suo restauro. Allo stato queste ultime risorse si sono perse e, dopo 18 anni, si sta ancora discutendo del destino dell’opera. Nel 2006 la Regione Campania, esercitando il diritto di prelazione su un privato, acquistò per 6 milioni e 800 mila euro Villa Episcopio di Ravello, che a distanza di 15 anni, pare, si stia pensando ad una sua destinazione.
Tutto ciò per dire che, forse, sarebbe significativamente più opportuno, da parte di chi si preoccupa del rischio di perdita della funzione pubblica del Monte di Pietà, di non auspicare un gettito di danaro pubblico, solo per porsi di traverso al sopravanzare del diabolico male rappresentato dal privato, ma di richiedere un tavolo aperto, dove siedano tutte le parti, compreso il privato disposto ad investire il suo danaro nelle forme che ha raccontato proprio da queste pagine e in quella sede chiedere all’imprenditore, ad esempio, se intende attivare nel centro di Napoli e in uno straordinario palazzo un Art Hotel, che per sua natura allude solo ad un museo, poiché si rivolge ad un target ristretto ed elitario, o vuole, rischiando di più, realizzare un luogo di art experience aperto a tutti gli interessati?
Un confronto di questa natura consentirebbe una seria riflessione sui rapporti tra soggetto pubblico e soggetto privato e favorirebbe modalità efficaci per la creazione di esperienze in grado di incrementare il valore pubblico generato dai musei.