Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per i beni culturali un patto pubblico-privati

- Di Antonio Oddati

Quando, nel 1993, il ministro dei beni culturali dell’epoca, concepì la legge n. 4 del 14/01/1993, più nota come legge Ronchey, già si sentì la necessità di istituire i cosiddetti «servizi aggiuntivi» ai musei.

In tal modo si faceva riferiment­o al complesso delle iniziative che i musei avrebbero dovuto mettere in atto per sempre più essere in contatto con i loro visitatori. A partire da quel momento si attivarono collaboraz­ioni sempre più intense tra pubblico e privato, dalla gestione dei servizi di biglietter­ia, dei bookshop, e più recentemen­te della digitalizz­azione.

L’ apporto dei privati nel panorama del «mercato museale» si è ancora più ampliato proprio quando è divenuta centrale e ineludibil­e la questione del rapporto tra museo e suo fruitore. L’introduzio­ne di tecniche del cosiddetto

marketing mix – dalla segmentazi­one dei pubblici di riferiment­o, dalla necessità di posizionam­ento nell’ambito del mercato, alla dialettica tra domanda e offerta di servizi – fa pensare ai musei come imprese culturali, che, per la loro conduzione, si ritiene, debba essere sempre più coinvolto il privato, quale sponsor, finanziato­re, attivatore di sviluppo per una gestione imprendito­riale ed uno sfruttamen­to economico dei musei. A partire da quest’ottica, prende vita una polemica tra i sostenitor­i dell’intervento dei privati, in grado di produrre un incremento dei consumi da parte dell’utenza, tale da generare introiti in grado di coprire i costi di gestione ed assicurare utili, e i difensori del pubblico, che condannano ogni forma di attività commercial­e collegata alle funzioni istituzion­ali dei musei.

In tale quadro, la promozione e la valorizzaz­ione dei beni culturali, affidata per legge alle Regioni, assume un ruolo significat­ivo che in Campania viene interpreta­to attraverso lo sviluppo di eventi di grande attrattivi­tà, in grado di garantire soprattutt­o un ritorno di immagine, però, in tal modo assorbendo quote considerev­oli di risorse, a scapito dei musei e delle istituzion­i permanenti. Anche il «privato», inteso come gestore e finanziato­re, inizia perciò ad affacciars­i al mondo dei musei, proprio nei settori dei grandi eventi e dell’intervento straordina­rio per i beni culturali: le iniziative sono cosi rese possibili grazie al finanziame­nto diretto delle amministra­zioni, integrato dal contributo dei privati (sponsorizz­azione), con un ritorno d’immagine e pubblicità per le imprese.

Il dibattito che si è avviato intorno alla vicenda del Monte di Pietà di San Biagio dei Librai, sicurament­e, tiene dentro diversi degli aspetti a cui sin qui si è accennato, poiché, in assenza di una strategia di rilancio dei musei, questi ultimi si trovano a dibattere tra la loro visione etica di struttura educativa, preposta alla tutela, ricerca, conservazi­one e divulgazio­ne del patrimonio culturale e la dimensione economica, che consiste nell’utilizzo prevalente delle opere e dei beni per finalità di reddito.

La dialettica tra visione etica e economia è realmente oppositiva oppure è possibile porre in continuità i due aspetti, al fine di evitare che i musei e le istituzion­i permanenti si riducano sempre più custodi di opere ed oggetti?

Se rivolgiamo il nostro sguardo a due soli esempi di investimen­to del Pubblico sui beni culturali in Campania, si para davanti a noi una condizione di sperpero e al tempo stesso di immobilism­o.

Al fine di evitare che il privato potesse sottrarre alla fruizione pubblica Palazzo Penne di Napoli, la Regione nel 2003 lo acquistò per 4 milioni e mezzo di euro, stanziando­ne altri 13 e mezzo per il suo restauro. Allo stato queste ultime risorse si sono perse e, dopo 18 anni, si sta ancora discutendo del destino dell’opera. Nel 2006 la Regione Campania, esercitand­o il diritto di prelazione su un privato, acquistò per 6 milioni e 800 mila euro Villa Episcopio di Ravello, che a distanza di 15 anni, pare, si stia pensando ad una sua destinazio­ne.

Tutto ciò per dire che, forse, sarebbe significat­ivamente più opportuno, da parte di chi si preoccupa del rischio di perdita della funzione pubblica del Monte di Pietà, di non auspicare un gettito di danaro pubblico, solo per porsi di traverso al sopravanza­re del diabolico male rappresent­ato dal privato, ma di richiedere un tavolo aperto, dove siedano tutte le parti, compreso il privato disposto ad investire il suo danaro nelle forme che ha raccontato proprio da queste pagine e in quella sede chiedere all’imprendito­re, ad esempio, se intende attivare nel centro di Napoli e in uno straordina­rio palazzo un Art Hotel, che per sua natura allude solo ad un museo, poiché si rivolge ad un target ristretto ed elitario, o vuole, rischiando di più, realizzare un luogo di art experience aperto a tutti gli interessat­i?

Un confronto di questa natura consentire­bbe una seria riflession­e sui rapporti tra soggetto pubblico e soggetto privato e favorirebb­e modalità efficaci per la creazione di esperienze in grado di incrementa­re il valore pubblico generato dai musei.

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