Corriere del Mezzogiorno (Campania)
MAGGIO E LE VERIFICHE FINALI
Sono veramente contenti i ragazzi delle superiori di essere tornati in presenza quasi a maggio? Se li conosco ancora abbastanza, direi di no. Dovranno lavorare di più? Non possono chiacchierare nei corridoi o al bar della scuola? Anche. Ma chi ha vissuto molti mesi di maggio a scuola ha una spiegazione ulteriore. Maggio è il mese delle interrogazioni finali, quell’unico tardivo strumento con cui si decide la sorte di alunni e famiglie. Nelle classi che funzionano in modo interattivo, la valutazione, come si dice in gergo, è in itinere, durante il cammino. Si potrebbe in ogni ora sentire molti alunni, anche su singoli aspetti della varie materie, chiedere loro di preparare una piccola spiegazione ai compagni, rapide domande pensate al momento, da scrivere magari con il compagno di banco. Portavo a casa ogni giorno sei-sette quaderni per vedere con calma come facevano i compiti, se avevano capito e scrivevo ad ognuno quello che pensavo del loro lavoro. Il peso fisico mi fu risparmiato da corrispondenze a distanza e da quaderni scritti finalmente al computer. Oggi sarebbero virtuali e sempre consultabili e aggiornabili. Era difficile, però, intrecciare tutti questi momenti: voti di vario colore, registri speciali: non restava che la conoscenza a uno a uno, più facile a me che avevo sette ore a settimana per classe. Se mediamente la scuola è un luogo di noia, le lunghe interrogazioni sono occasione di super-noia nella classe.
A mio avviso, per momenti di verifica e valutazione più approfondite ci vorrebbero sessioni dedicate a questo lavoro con presenza di alunni ridotta.
Straordinario pagato nel pomeriggio o breve interruzione scolastica. Io di interrogazioni lunghe ne facevo quelle essenziali. Un limite, una piccola vigliaccheria: per farle dovevo (con fatica e litigi) contrattare attenzione, supporto ai compagni interrogati, ma senza scavalcarli per rispondere prima.
Un giorno, esasperata, disperata forse più del dovuto, chiesi come si comportassero in altre materie. La risposta per me fu di uno sconvolgimento assoluto: «Per farci stare zitti, ci fanno fare quello che vogliamo, qualcuno ci fa giocare anche a carte».
Smarrita, pensai che mi prendessero in giro. Le mie alunne femmine sono sempre state un sostegno al mio aspetto un po’ surreale-imbranato, inseguendomi con borse, registro, libri che seminavo per tutta la scuola.
Una di loro, con sconsolato senso di protezione: «Professoressa, lei a volte non capisce veramente niente di come funziona la scuola».
Risi a lungo, ma colpita da quanto fosse poi vero. Giro a distanza la saggezza di quella ragazzina a quanti si occupano di scuola ideale o della facciata rispettabile che si ha interesse a mostrare. Abbiamo bisogno di progetti radicati nella realtà effettuale, magari non con prìncipi spietati alla Machiavelli, ma con fiducia negli alunni, pur senza abdicare al contenimento e alla forte spinta a studiare. Forniamo pure, però, un modello efficiente del nostro lavoro e diamo la prova di come la scuola sia capace di valutare serenamente e a fondo il lavoro di ogni ragazzo.
Obiettivo: quell’ auto consapevolezza dei nostri errori che è il solo modo di progredire.
Maggio lasciamolo a scambi di comprensione e affetto, a bilanci condivisi di quanto si è effettivamente tralasciato in un anno smarrito. Un recupero ragionato, stimolante e diverso potrà creare occasioni di riunioni a distanza a giugno e settembre, senza nemmeno farlo sapere ai sindacati della scuola e forse nemmeno alla scuola. Le piccole cospirazioni divertono molto i ragazzi. Forse approverebbe anche il ministro in persona.