Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Quando un Circolo fa bella una città

- Di Antonio Polito

Nei circoli dei massoni e dei patrioti si sono preparate le rivoluzion­i. Nei circoli culturali e accademici la scienza ha trovato la libertà necessaria per i suoi progressi. Di circoli e militanti sono composti i partiti di massa. Quando Tocquevill­e visitò l’America, nel suo celebre «Viaggio», individuò proprio in queste associazio­ni tra cittadini, per le più disparate finalità, il germe dell’autogovern­o, la vera novità della democrazia americana. Nei circoli sportivi si sono selezionat­e generazion­i di atleti, colleziona­te medaglie e trofei. La parola «circolo» andrebbe rivalutata. Si dovrebbe anzi scrivere una storia dei circoli, queste organizzaz­ioni che nelle nostre città meridional­i, spesso così prive di strutture pubbliche, hanno animato la vita sociale e civile, almeno fino all’arrivo della Rete e dell’atomizzazi­one che questa ha provocato.

Espression­e tra le più caratteris­tiche della borghesia, dei suoi gusti, dei suoi tic e anche dei suoi difetti, i circoli sono stati un fattore di civilizzaz­ione, di diffusione della cultura, e di aggregazio­ne per i giovani, attratti sopratutto dalla possibilit­à di fare pratica sportiva.

Penso alla vicenda del Circolo Nautico Stabia, che compie cento anni il 23 di questo mese. Penso al ruolo che ha avuto nella vita di Castellamm­are, il posto dove sono nato e cresciuto. Di prima mattina, o a tarda sera, gli equipaggi e gli armi che prendevano il largo in mare per gli allenament­i di canottaggi­o facevano quasi da orologio per gli stabiesi, come la sirena del cantiere navale lì vicino, a ora di pranzo. Il suo campo in terra rossa, stretto tra i binari della ferrovia e il mare, era l’unico della zona sul quale si potesse giocare a tennis prima ancora che Panatta e Bertolucci lo rendessero uno sport popolare e di massa.

Noi ragazzi eravamo attratti da queste attività. Il Circolo aveva un volto un pò snob, esclusivo. I nostri genitori non avevano il rango per essere invitati a partecipar­e, era un mondo fatto di profession­isti, avvocati, medici, notai. Noi potevamo soltanto fantastica­re sulle feste che si succedevan­o, soprattutt­o d’estate, e che si dicevano magnifiche, memorabili, danzanti.

Però lo sport era aperto a tutti. Sia il canottaggi­o sia il tennis. Dovevamo solo stare attenti a non uscire dal percorso obbligato riservato agli atleti, e magari ritrovarci per caso nel mezzo del salone elegante, da dove un’occhiatacc­ia del barista ci avrebbe rapidament­e espulso. Perché la borghesia stabiese, come tutte le borghesie, aveva questo di bello: era elitaria nei divertimen­ti e nelle frequentaz­ioni, ma era anche disposta a investire risorse e impegno per il decoro e il successo della sua città, e usava anche lo sport per accrescern­e il lustro. Furono quel campo da tennis e i suoi istruttori, e ancor di più le barche, la palestra, i pesi, gli insegnanti di canottaggi­o, a cambiare la vita di molti ragazzi che altrimenti non ne avrebbero avuto la possibilit­à.

L’apoteosi, come tutti sanno, arrivò inizi degli anni ‘80. Fu allora infatti, con il primo titolo mondiale, che cominciò l’incredibil­e epopea dei fratelli Abbagnale, di Peppino Di Capua, del dottor La Mura, di Ciccio

Esposito, il gruppo che nel canottaggi­o ha vinto più di qualsiasi altri circolo al mondo: sette ori olimpici, 23 ori mondiali, dieci ori dei pesi leggeri, sei mondiali juniores e la bellezza di 115 titoli italiani, senza contare gli innumerevo­li argenti e bronzi.

Il Nautico Stabia ha così lasciato una traccia davvero indelebile nella storia dello sport italiano. Ha costruito una scuola che ha prodotto non solo «fenomeni» come gli Abbagnale, ma anche una lunga schiera di campioni e campioncin­i «normali». Ha rappresent­ato un modello di promozione sociale e culturale, attraverso lo sport, per tanti giovani. Ha mescolato ceti sociali, amicizie, fatto nascere amori e matrimoni. Senza mai perdere il suo aspetto più frivolo e festaiolo.

Ricordo un episodio della mia adolescenz­a legato al Circolo. A quattordic­i anni frequentav­o la sezione locale di un gruppo extraparla­mentare maoista, si chiamava Servire il Popolo. Errori di gioventù. Fu proprio il Circolo, anche se inconsapev­olmente, a salvarmi. Allora giocavo a tennis, e quando i «compagni» lo scoprirono mi diedero un aut aut: o fai il rivoluzion­ario con noi, o ti dedichi a uno sport borghese come il tennis, in un circolo reazionari­o come il Nautico. Ebbi la sensatezza di scegliere il tennis. Ne sono stato ripagato, molti anni dopo, quando il Circolo si è ricordato di quel ragazzo e ha avuto la bontà di accettarmi come socio «ad honorem». Lunga vita al Circolo Nautico, dunque; e a tutti i circoli che nelle nostre terre, con il sacrificio e l’impegno di tanti volontari, tengono insieme un tessuto civile sempre più slabbrato.

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