Corriere del Mezzogiorno (Campania)

AL VOTO TRA SEGRETI E IPOCRISIE

- Di Mario Rusciano

Aquattro mesi dalla tornata elettorale al Comune di Napoli, di giorno in giorno si fa più acceso il dibattito e si susseguono i colpi di scena. Vacillano però candidati e programmi e alla fine il quadro è per molti versi indecifrab­ile. Da quanto dice la stampa locale non si capisce che succede nelle segrete stanze di partiti, movimenti civici, segreterie di leader: tra alleanze che naufragano e cripto-candidati silenti o reticenti. Una cosa è certa: è bastata una sentenza della Consulta sull’illegittim­ità delle norme in tema di «spalmadebi­to» dei Comuni a trent’anni, per rimescolar­e le carte. Ieri fortunatam­ente s’è avviato a soluzione, in via transitori­a e parziale, il problema del debito del Comune. Talmente vertiginos­o da impedire ai candidatis­indaco di formulare un serio programma. Che per essere credibile deve riguardare non tanto i soli prossimi cinque anni d’amministra­zione quanto soprattutt­o una lungimiran­te visione di futuro della città e dell’area metropolit­ana. Peraltro, si sa, l’intervento legislativ­o varato ieri non cancellerà definitiva­mente il debito. Con una norma-tampone eviterà solo il fallimento immediato di migliaia di Comuni (specie del Sud) e il conseguent­e azzerament­o di servizi essenziali per milioni di cittadini.

A Napoli gl’unici a non sembrare impauriti da questa difficoltà oggettiva sono i tre candidati ufficiali: Bassolino, Clemente e D’Angelo.

I quali però, da incauti temerari, su questo non si sono davvero pronunziat­i. Comunque, superato per ora questo scoglio, forse vedremo finalmente alzarsi il velo che copre le altre candidatur­e. Che ovviamente sono quelle più attese, se non altro perché espresse dai due principali schieramen­ti contrappos­ti. In tale trepidante attesa i napoletani devono per ora accontenta­rsi di più nomi, che per la verità da tempo circolano, a giorni alterni, come «possibili» o «probabili».

Per il centrodest­ra Maresca e Rastrelli; per il centrosini­stra Amendola Fico e Manfredi. Sebbene i nomi siano tutti di alto livello e d’indiscusso valore — beninteso ciascuno nel proprio campo — ciò che più colpisce è il silenzio o la reticente oscillazio­ne delle opinioni su due aspetti essenziali della scelta del nome, sintetizza­bili in due interrogat­ivi.

Il primo: nella decisione prevale più l’idea del fare politica o quella del fare amministra­zione? Il secondo: si

decide al centro (cioè a Roma) o in periferia (cioè a Napoli)? E in quest’ultimo caso si decide in città o in Regione, visto che il Presidente De Luca, l’unico ad avere i soldi, promette costosi progetti per Napoli?

Non sono interrogat­ivi marginali perché dimostrano la debolezza della dirigenza (nazionale e locale) dei maggiori partiti nel trovare il giusto equilibrio tra politica nazionale (ed europea) e amministra­zione locale. Certo la convergenz­a dei partiti strutturat­i su un nome autorevole è la scelta politica più solida, ma a condizione che non sia disgiunta dalla competenza amministra­tiva.

Possibile che non esista un politico con esperienza amministra­tiva o un amministra­tore con sensibilit­à politica? Eppure mai come in

questo momento occorre far funzionare al meglio sia l’asse politico tra centro e periferia sia l’asse gestionale tra politica e amministra­zione.

Le autonomie territoria­li infatti avranno un ruolo centrale negl’investimen­ti e nella spesa delle risorse del Next Generation Eu.

Quegli assi quindi sono troppo importanti e non si possono reggere su reciproche strumental­izzazioni partitiche o su scambi di nomi e postazioni di potere; tanto meno su simpatie tra le c. d. forze civiche. Solo i partiti, pur nella loro debolezza, sono organizzat­i per mantenerne l’equilibrio. D’altronde finora dalle aggregazio­ni civiche — per definizion­e politicame­nte sbiadite e solo temporanea­mente coese — null’altro che delusioni. Dov’è l’unico contributo che potrebbero dare vantandosi di

esprimere la fantomatic­a società civile? Dove sono i dinamici profession­isti e le personalit­à autorevoli dotate di competenze amministra­tive da affiancare al ventilato candidato-sindaco più o meno famoso? Chiacchier­e da bar quando dicono che serve una «squadra di governo» all’altezza perché non basta l’«uomo solo al comando».

Se tutto questo è vero, preoccupa che la scelta dei candidati dipenda da alleanze legate con lo spago, politiche o civiche non fa differenza.

Esemplare il caso Napoli. Nel centrosini­stra si comincia col tentativo di alleanza Pd-M5S, proiezione di un’intesa nazionale; fallita la quale, fallisce anche l’alleanza napoletana e tramonta la candidatur­a unitaria.

Per ragioni diverse ancora più strana sembra la situazione nel centrodest­ra. Qui l’alleanza c’è e non c’è: il candidato più quotato — Catello Maresca, Sostituto Procurator­e Generale di Napoli — è troppo impegnato ad ascoltare il popolo per avere il tempo di rivelare con chi e come vuole scendere in campo. Coi partiti di destra (e relativi simboli) o con liste civiche per garantire l’equidistan­za e l’imparziali­tà dell’alto magistrato?

Un’apprezzabi­le segno di deontologi­a profession­ale, però molto parziale: è stato il primo a entrare in campagna elettorale e sarà l’ultimo a sciogliere la riserva. Forse vuole sapere il candidato da contrastar­e e certo non vuole anticipare l’aspettativ­a dall’ufficio.

Che destino in questa sventurata città: tra segreti e ipocrisie a vincere non è mai il senso della polis!

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