Corriere del Mezzogiorno (Campania)
AL VOTO TRA SEGRETI E IPOCRISIE
Aquattro mesi dalla tornata elettorale al Comune di Napoli, di giorno in giorno si fa più acceso il dibattito e si susseguono i colpi di scena. Vacillano però candidati e programmi e alla fine il quadro è per molti versi indecifrabile. Da quanto dice la stampa locale non si capisce che succede nelle segrete stanze di partiti, movimenti civici, segreterie di leader: tra alleanze che naufragano e cripto-candidati silenti o reticenti. Una cosa è certa: è bastata una sentenza della Consulta sull’illegittimità delle norme in tema di «spalmadebito» dei Comuni a trent’anni, per rimescolare le carte. Ieri fortunatamente s’è avviato a soluzione, in via transitoria e parziale, il problema del debito del Comune. Talmente vertiginoso da impedire ai candidatisindaco di formulare un serio programma. Che per essere credibile deve riguardare non tanto i soli prossimi cinque anni d’amministrazione quanto soprattutto una lungimirante visione di futuro della città e dell’area metropolitana. Peraltro, si sa, l’intervento legislativo varato ieri non cancellerà definitivamente il debito. Con una norma-tampone eviterà solo il fallimento immediato di migliaia di Comuni (specie del Sud) e il conseguente azzeramento di servizi essenziali per milioni di cittadini.
A Napoli gl’unici a non sembrare impauriti da questa difficoltà oggettiva sono i tre candidati ufficiali: Bassolino, Clemente e D’Angelo.
I quali però, da incauti temerari, su questo non si sono davvero pronunziati. Comunque, superato per ora questo scoglio, forse vedremo finalmente alzarsi il velo che copre le altre candidature. Che ovviamente sono quelle più attese, se non altro perché espresse dai due principali schieramenti contrapposti. In tale trepidante attesa i napoletani devono per ora accontentarsi di più nomi, che per la verità da tempo circolano, a giorni alterni, come «possibili» o «probabili».
Per il centrodestra Maresca e Rastrelli; per il centrosinistra Amendola Fico e Manfredi. Sebbene i nomi siano tutti di alto livello e d’indiscusso valore — beninteso ciascuno nel proprio campo — ciò che più colpisce è il silenzio o la reticente oscillazione delle opinioni su due aspetti essenziali della scelta del nome, sintetizzabili in due interrogativi.
Il primo: nella decisione prevale più l’idea del fare politica o quella del fare amministrazione? Il secondo: si
decide al centro (cioè a Roma) o in periferia (cioè a Napoli)? E in quest’ultimo caso si decide in città o in Regione, visto che il Presidente De Luca, l’unico ad avere i soldi, promette costosi progetti per Napoli?
Non sono interrogativi marginali perché dimostrano la debolezza della dirigenza (nazionale e locale) dei maggiori partiti nel trovare il giusto equilibrio tra politica nazionale (ed europea) e amministrazione locale. Certo la convergenza dei partiti strutturati su un nome autorevole è la scelta politica più solida, ma a condizione che non sia disgiunta dalla competenza amministrativa.
Possibile che non esista un politico con esperienza amministrativa o un amministratore con sensibilità politica? Eppure mai come in
questo momento occorre far funzionare al meglio sia l’asse politico tra centro e periferia sia l’asse gestionale tra politica e amministrazione.
Le autonomie territoriali infatti avranno un ruolo centrale negl’investimenti e nella spesa delle risorse del Next Generation Eu.
Quegli assi quindi sono troppo importanti e non si possono reggere su reciproche strumentalizzazioni partitiche o su scambi di nomi e postazioni di potere; tanto meno su simpatie tra le c. d. forze civiche. Solo i partiti, pur nella loro debolezza, sono organizzati per mantenerne l’equilibrio. D’altronde finora dalle aggregazioni civiche — per definizione politicamente sbiadite e solo temporaneamente coese — null’altro che delusioni. Dov’è l’unico contributo che potrebbero dare vantandosi di
esprimere la fantomatica società civile? Dove sono i dinamici professionisti e le personalità autorevoli dotate di competenze amministrative da affiancare al ventilato candidato-sindaco più o meno famoso? Chiacchiere da bar quando dicono che serve una «squadra di governo» all’altezza perché non basta l’«uomo solo al comando».
Se tutto questo è vero, preoccupa che la scelta dei candidati dipenda da alleanze legate con lo spago, politiche o civiche non fa differenza.
Esemplare il caso Napoli. Nel centrosinistra si comincia col tentativo di alleanza Pd-M5S, proiezione di un’intesa nazionale; fallita la quale, fallisce anche l’alleanza napoletana e tramonta la candidatura unitaria.
Per ragioni diverse ancora più strana sembra la situazione nel centrodestra. Qui l’alleanza c’è e non c’è: il candidato più quotato — Catello Maresca, Sostituto Procuratore Generale di Napoli — è troppo impegnato ad ascoltare il popolo per avere il tempo di rivelare con chi e come vuole scendere in campo. Coi partiti di destra (e relativi simboli) o con liste civiche per garantire l’equidistanza e l’imparzialità dell’alto magistrato?
Un’apprezzabile segno di deontologia professionale, però molto parziale: è stato il primo a entrare in campagna elettorale e sarà l’ultimo a sciogliere la riserva. Forse vuole sapere il candidato da contrastare e certo non vuole anticipare l’aspettativa dall’ufficio.
Che destino in questa sventurata città: tra segreti e ipocrisie a vincere non è mai il senso della polis!