Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Quintodecimo» lancia la Cuvée
Ritorno dopo un tempo relativamente breve ad occuparmi di un vino dell’azienda «Quintodecimo» di Mirabella Eclano. Non potevo esimermi perché, in questo caso, siamo di fronte a un’etichetta che segna l’ulteriore innalzamento dell’asticella da parte di Luigi Moio e di sua moglie Laura Di Marzio. Che, nel 2001, venti anni fa dunque, posero la prima pietra del più ambizioso (e razionale) progetto vitivinicolo campano. Più che progetto direi che si trattò di una visione. Che, come tutte le visioni, viene generata dall’attitudine immaginifica di chi la concepisce. Ma che per attualizzarsi ha bisogno di poggiare su tradizione, scienza e passione. Tutte virtù che non fanno difetto al Professore. Figlio di un vignaiolo antico ma, allo stesso tempo, straordinariamente moderno, l’indimenticabile don Michele, Moio ha curato la propria formazione con rigore assoluto fino a diventare egli stesso un maestro di caratura internazionale. Ma tutto questo, che è già tanto, non sarebbe sufficiente per arrivare in vetta senza il sentimento, la tensione costante verso il vino e tutto quello che di bello, in senso estetico, e buono, in senso etico, questo rappresenta. Lo spazio è poco. Impegnato nella tenace opera di valorizzazione, certo anche economica, delle straordinarie varietà autoctone irpine, finora interpretate in purezza, Moio ha voluto dar vita a una Grande Cuvée, e non blend si badi, che riunisse le virtù delle tre uve bianche: il fiano, il greco e, non ultima, la falanghina, troppo spesso relegata al ruolo di Cenerentola, non per limiti intrinseci, ma per l’avidità e l’insipienza di chi la vinifica. Ut unum sint. Porta il nome del suo creatore questo vino dal naso ricchissimo e complesso, dall’armonia gustativa superiore, dalla splendida persistenza. Non indugio nei dettagli. Bianco esclusivo che ha già i numeri per ambire a un posto di rilievo nella ideale cantina italiana. Annata 2018, la prima, promossa con 110. Per la 2019 è già pronta la lode.