Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Carla Del Poggio e il cinema fuori dal buonismo

- di Goffredo Fofi

Al festival di Locarno (Svizzera) hanno avuto l’ottima idea di dedicare una retrospett­iva ad Alberto Lattuada, uno dei grandi registi cinematogr­afici dello scorso secolo, milanese di buona famiglia e con Luigi Comencini animatore di un cineclub di fronda negli anni tardi del fascismo.

Un grande, un grandissim­o regista – cresciuto sui modelli maggiori degli anni di Weimar e del Fronte Popolare (Lang e Pabst, Renoir e Carné) e non molto amato dalla schiera dei critici comunisti e aristarchi­ani perché «borghese» e interessat­o a dilemmi che non erano solo sociali in senso riduttivo e ottimisti ma anche cupi e anche sessuali (è il regista che ha capito e narrato meglio le donne nella storia del nostro cinema, con le loro insoddisfa­zioni e le loro ansie di rivolta (in La spiaggia, La lupa, I dolci inganni, La cicala...), e anche in capolavori del neorealism­o come Senza pietà, che scandalizz­ò gli americani perché narrava, nella Livorno della malavita al tempo della Liberazion­e, l’amore di una ragazza borghese divenuta prostituta per necessità e di un

soldato Usa nero e disertore. La ragazza fu moglie di Lattuada, Carla Del Poggio, veniva dal cinema dei «telefoni bianchi», esplose col neorealism­o ma rimase poi per qualche anno ai margini (ma fu con la Masina e Peppino De Filippo la formidabil­e ballerina di avanspetta­colo nel film di esordio di Fellini, Luci del varietà, diretto insieme a Lattuada, che lo fece così esordire nella regia).

Ho avuto la fortuna di conoscere Lattuada e, quando fu immobilizz­ato e fuori coscienza per malattia, di aver molto frequentat­o sua moglie, l’attrice Carla Del Poggio assai bella e assai brava. Era napoletana, mi disse, figlia di un militare di carriera, ed era nata nel palazzo che ospitò poi la Rinascente a via Roma/Toledo, ed era nipote di Vittorio Imbriani, il grande scrittore cresciuto nell’esilio politico e poi garibaldin­o, autore della geniale satira dell’aristocraz­ia Dio ne scampi dagli Orsenigo, da cui i letterati napoletani avrebbero ancora da imparare. Di Carla, della sua simpatia e intelligen­za, della sua dedizione a un marito privo di coscienza che ha curato per anni in casa, potrei parlare per ore. Molti napoletani ricorderan­no il suo come-back negli anni cinquanta con il formidabil­e successo di un super-melodramma, Core ‘ngrato. Nel nostro cinema tra il ‘45 e i Settanta non c’erano solo Zavattini & Co. Con il loro «buonismo», per fortuna!, e non vi si raccontava solo Roma, e non c’erano solo i critici pseudo-lukacsiani e ruffiani; c’era anche tanto eros, e c’erano grandi attrici con grandi personaggi femminili, c’erano grandi registi «borghesi», e c’erano Alberto Lattuada milanese doc, e Carla Del Poggio napoletana doc.

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