Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Terapia del dolore, il reparto-modello rischia di chiudere «Smantellato un po’ per volta»
L’allarme dell’ex primario Montrone
NAPOLI Quella del Cardarelli è stata la prima unità operativa nell’Italia del Sud per la terapia del dolore e per le cure palliative. Nacque nel 1977 su iniziativa di Vincenzo Montrone, anestesista e rianimatore. «Ero studente in Medicina — racconta — ed avevo una fidanzata che fu ricoverata al Pascale. Le sue giornate in ospedale si consumarono tra sofferenze atroci ed il disinteresse di medici e infermieri. Decisi allora che dopo la laurea mi sarei occupato del dolore. Mi sono formato in Italia ed all’estero, ho collaborato alla stesura di leggi in materia e per 40 anni ho diretto l’unità del Cardarelli. Aveva dieci posti letto, ambulatorio e day hospital. Un reparto modello, sembrava una clinica. Frigo, bar, televisori, incontri costanti con le famiglie e con i volontari. Si trattava sia il dolore cronico benigno (lombo sciatalgia, cefalea e quant’altro), per il quale si seguivano circa tremila persone all’anno, sia quello da cancro. Si assistevano tra i trecento ed i quattrocento malati terminali ogni anno ».
Parla al passato e non è un caso. «Quel reparto-modello — denuncia l’ex primario — è stato sostanzialmente smantellato. Oggi è accorpato con la fisiochinesiterapia. I posti letto sono ridotti a quattro in due stanze. Metà degli infermieri provengono dalla fisiochinesiterapia e non hanno le competenze e la motivazione per stare accanto ad un malato terminale. Quanto ai medici due sono andati via disgustati, hanno preferito la pensione. Un altro ha avuto un ictus ed è stato dislocato negli uffici. Sono rimasti due soli colleghi, uno dei quali fruisce della 104. Non c’è un primario specifi
camente formato sulla terapia del dolore. Sovrintende quello della rianimazione». Come si è arrivati a questo punto? «Nel 2016 — racconta Montrone — una legge regionale crea due reti separate. Una di terapia del dolore ed una di cure palliative. Noi siamo completamente esclusi dalla terapia del dolore. E’ il primo atto dello smantellamento». Il secondo si compie nel 2018 quando il commissario ad acta emana un provvedimento che abolisce in tutta la regione i posti letto di terapia del dolore. «Poi ci ripensa — ricorda Montrone — ed emana un secondo decreto che li ripristina. Nel frattempo, però, il direttore generale del Cardarelli, l’ingegnere Ciro Verdoliva, aveva già redatto ed inviato in Regione il piano aziendale». Il primario ed i suoi continuano a lavorare, ma sulla carta il reparto non c’è più. «Durante l’emergenza Covid, poi — va avanti Montrone — il nuovo direttore generale del Cardarelli, che si chiama Giuseppe Longo, prima accorpa la terapia del dolore all’otorinolaringoiatria ed all’oculistica, poi la fonde con la fisiochinesiterapia. Tutto ciò mentre gli hospice pubblici che avrebbero dovuto nascere già da anni e che furono anche finanziati con 9 miliardi sono in buona parte ancora sulla carta e mentre il settore dell’assistenza ai malati terminali è sempre più terreno di conquista di intraprendenti strutture private».
Il 9 novembre l’associazione “Il Nodo” manifesterà davanti alla Regione per chiedere che l’unità di terapia del dolore del Cardarelli sia salvata e rilanciata.