Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Sono stato zitto per due anni E quando ho preteso giustizia mi hanno minacciato di morte»

Didier: sono un operaio specializz­ato e vivo in un centro di accoglienz­a

- di Anna Paola Merone

NAPOLI «Per due anni sono stato zitto e buono. Prendevo quindici euro al giorno per lavorare senza sosta: restavo in officina dodici ore al giorno. Senza contratto, senza garanzie e sentendomi insultare di continuo. Sentendomi dire cose brutte».

E poi, cosa è successo? Ha deciso che non era più possibile subire in silenzio?

«Poi ho chiesto di essere regolarizz­ato. Volevo un contratto, trasparenz­a, volevo garanzie. E così, non volevo più subire. E lì gli insulti ascoltati per due anni sono diventati ancora più violenti, minacciosi. Mi ha chiamato negro, ha urlato».

Didier (il nome è di fantasia, perché il protagonis­ta di questa storia non vuole mostrare il suo volto e intende celare la propria identità) parla francese che intreccia a un italiano malfermo per raccontare con grande chiarezza la vicenda che lo ha travolto quando ha chiesto un lavoro garantito. Al suo fianco c’è l’avvocato Hillarry Sedu che interviene per indicargli un termine giusto e per rassicurar­lo.

Didier da quanti anni è in Italia?

«A dicembre faranno quattro anni. Sono arrivato qui quando avevo 30 anni e sono un richiedent­e asilo: vengo dalla Costa d’Avorio».

Lei vive a Caserta?

«In provincia di Caserta, vivo in un centro di accoglienz­a».

E ogni mattina arrivava a Materdei per lavorare?

«Sì, da due anni. Già nel mio paese ero un meccanico, e ho anche competenze come gommista ed elettrauto. Insomma trovare lavoro per me non è mai stato un problema. Partivo presto al mattino e arrivavo in officina e di sera affrontavo un lungo viaggio di ritorno».

Officina dove aveva un lavoro irregolare.

«Sì, ma io ero stanco di subire questa ingiustizi­a. Così, dopo due anni, ho chiesto un contratto e come risposta mi è arrivato un messaggio whatsapp sul telefonino violentiss­imo.

Il proprietar­io dell’officina mi ha chiamato negro, mi ha detto che sarei rimasto schiavo a vita. Mi ha detto cose terribili e mi ha pure minacciato. Mi ha detto che se mi acchiappa mi manda all’ospedale perché mi

picchia».

Per questo motivo ha deciso di non rivelare la sua identità?

«Sì, per questo. Ho paura che possa farmi del male e ho paura anche che dica cose non vere di me ad altri che

hanno officine dove potrei trovare lavoro. Perché io non posso andare avanti senza una occupazion­e e uno stipendio».

Lei ha famiglia qui in Italia?

«No, non ho nessuno. Sono solo. L’unico parente che ho è mia madre che è rimasta a vivere in Costa d’Avorio».

E le manda una parte dei soldi che guadagna con il suo lavoro?

«Sì, mando la rimessa - si chiama così — al mio Paese per aiutare mia madre ad andare avanti».

Lei ha contattato l’avvocato Sedu per chiedere di essere difeso e tutelato da lui in questa vicenda: come lo ha individuat­o?

«Lui era già un riferiment­o per me. Mi ero rivolto all’avvocato Sedu in passato. Già mi seguiva per una causa di risarcimen­to».

E adesso cosa farà?

 I napoletani non sono razzisti, sono stato accolto con generosità Non sarà uno solo a farmi cambiare idea

«Continuerò a chiedere giustizia e poi cercherò un nuovo lavoro. Ne ho bisogno. Ma non vorrei vivere di nuovo una esperienza come questa, con un brutto datore di lavoro. Non sono uno schiavo, sono un lavoratore come tanti. Con competenze e voglia di fare. Intendo solo guadagnare quello che merito ma, proprio perché non sono uno schiavo, non è giusto che mi accontenti di una elemosina dopo aver sgobbato per un giorno intero».

Come ha trovato gli italiani, e i napoletani, che ha incontrato in questi anni?

«Ho una opinione buona di loro. Qui sono stato accolto con generosità e ho trovato tante persone gentili. E non è la violenza espressa da un solo uomo che può farmi cambiare idea. Poi certo il razzismo esiste, a volte si sente. Ma la mia voglia di giustizia è più forte di tutto».

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