Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’arte necessaria dell’ultimo umanista
Elogio di uno tra gli ultimi umanisti: Nino Longobardi. Inserito nella storia dell’arte italiana, egli è profondo conoscitore della disciplina del fare con le mani, sapiente creatore di pitture, di sculture e di affreschi murali, legato alla tradizione della grande ritrattistica occidentale. E, insieme, guarda sempre allo sperimentalismo delle neoavanguardie; si riferisce costantemente alla strategia del prelievo di matrice beuysiana; recupera motivi del poverismo; è in sintonia con il neoespressionismo europeo degli anni ottanta. Da un lato, una disciplina antica: il rispetto dell’equilibrio formale, la tutela dell’ordine compositivo. Dall’altro lato, un sottile gusto per le decostruzioni, per le interruzioni visive. Longobardi è archeologo e, al tempo stesso, profanatore. Lontano da ogni anacronismo, come accade nel trittico ispirato a San Gennaro e nel Cristo lacrimante esposto a Palazzo Reale, si richiama a iconografie classiche, che poi decostruisce, defigura – profana, appunto. Allestisce maestose costruzioni, abitate da corporeità scarnificate, ridotte, semplificate. Riconduce le anatomie a minimi tracciati; spesso, si concentra solo sul teschio. Le sue opere, negli anni, sono diventate sempre più essenziali: sembrano fatte quasi-dinulla. La complessità figurale è stata come spogliata. In alcuni momenti, con rara maestria, Longobardi sembra scolpire con il colore: esegue polittici solenni, occupati da fitti strati cromatici, al di sotto dei quali si intravedono – come in una Sindone moderna – lineamenti appena accennati.
Approdo di questo discorso il recente ciclo di lavori, efficace incrocio tra pittura e scultura. Longobardi ha recuperato diverse copie del “Corriere del Mezzogiorno” pubblicate nel 2021; poi, le ha manipolate con strati di colla; le ha lasciate macerare per qualche ora; le ha “calcificate”, trasformandole in blocchi solidi; infine, le ha occupate con una serie di crateri, densi di rimandi agli esercizi informali di Burri, in modo da nascondere i titoli del giornale, lasciando affiorare solo qualche brandello di frase, parole strappate a un naufragio. Un modo per fermare la cronaca documentata dal quotidiano.
L’opera d’arte, per Nino Longobardi. Non è luogo di un naufragio in un vuoto concettualismo. Ma esercizio poetico struggente. Pratica talvolta epica. Testimonianza di necessità troppo umane, impossibili da eliminare.