Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Int ’o rione
Il grido del professor Criscuolo
Qualcuno tra gli studenti comincia a spaventarsi. Se non fosse per una goccia di sudore che scende lentamente sulla fronte aggrottata del docente, si potrebbe pensare di trovarsi di fronte a un cadavere. I ragazzi, sempre più in difficoltà, non sanno più cosa pensare, e solo quando Criscuolo finalmente rilassa il volto emettendo un profondo respiro seguito da una specie di rantolo, anche loro fanno lo stesso quasi senza rendersene conto.
«Oggi, mentre ero in metro per venire in aula, mi è accaduto qualcosa di simile a quanto accadde un pomeriggio al pittore Edvard Munch.
All’improvviso ho avuto l’impressione che le persone intorno a me fossero morte. Le vedevo parlare, muoversi, argomentare, eppure nulla in loro era vivo. Tutte vittime di una subdola malattia dell’anima che le soffocava. Ogni loro gesto, sguardo, parola, era frutto della paura, nell’angoscia, che le stritolava fino a ucciderle senza che se ne rendessero conto. Quel pomeriggio, Edvard Munch, mentre era a passeggio con due amici, rimase profondamente turbato dal tramonto. - Il cielo si tinse all’improvviso di un rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura. Sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura. - Questo scrisse in seguito per descrivere il momento esatto in cui nella sua anima si impresse la figura che divenne poi famosa nella sua opera più celebre. Parliamo del Il grido, naturalmente. Era il 1895. Quel fine secolo era attraversato da profondi mutamenti che determinarono una crisi esistenziale che molti artisti figurativi come Munch, ma anche filosofi, poeti, scrittori, descrissero con forza nelle loro opere. Un grido, talvolta disperato, che rivelava a tutti quanto stava per accadere. Uomini e donne che presagirono la catastrofe imminente. La prima guerra mondiale. Uno dei conflitti più sanguinosi che l’umanità abbia mai conosciuto. Circa quaranta milioni di vittime. Tra i quindici e i ventidue milioni di morti e ventidue milioni di feriti. Qualcosa di analogo accadde anche
prima della seconda guerra mondiale».
Criscuolo abbassa di nuovo lo sguardo. Sfila il libro di storia dalla borsa e lo poggia sulla cattedra.
«Vedete, la domanda che più ricorre quando si parla dei periodi che hanno preceduto quegli eventi catastrofici, è se la gente comune fosse consapevole di quanto stava per succedere. Se davvero ne avesse coscienza, e perché nessuno riuscì a fare nulla per fermare il delirio che causò quei massacri».
Il professore guarda di nuovo i suoi allievi.
«La risposta è semplice e tragica allo stesso tempo. Nei libri che abbiamo davanti vengono descritti in poche pagine processi durati anni. Anni fatti di ore, di giorni, durante i quali la percezione di normalità andava lentamente piegandosi. Un piccolo tassello per volta. Gli uomini e le donne di quelle epoche hanno costruito pezzo dopo pezzo la realtà
aberrante che ha portato alle carneficine delle quali oggi ci vergogniamo. Una cosa dunque appare evidente. La storia è fatta di momenti, di attimi. Dovremmo imparare da quelle esperienze che è fondamentale rimanere vigili, ponendo la massima attenzione anche su piccolezze che all’inizio appaiono insignificanti, ma che sono il segnale d’allarme che qualcosa sta cambiando. Domani, o tra una settimana, un mese, noi stessi potremmo trovarci a credere in idee e a fare cose che oggi ci appaiono terribili».
Criscuolo apre il libro alla pagina della lezione del giorno.
«Ci tenevo a dirvi solo questo prima di iniziare. Non sentitevi mai protetti, nemmeno da voi stessi. Perdere la lucidità, e con essa i diritti fondamentali che con grande fatica l’uomo ha conquistato a costo della vita, è questione di minuti, di giorni, non di decenni. Rimanete svegli, sempre».