Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IN CAMPANIA È SCOMPARSA L’OPPOSIZION­E

- Di Giancristi­ano Desiderio

Se Vincenzo De Luca fa il bello e il cattivo tempo accarezzan­do l’idea del terzo mandato, se Gaetano Manfredi se la prende comoda come se avesse davanti a sé non un mandato amministra­tivo ma l’eterno e le morte stagioni, se la Campania sembra esser diventata una sorta di mondo a parte o di vicereame spagnolo è per un solo e unico motivo: non c’è l’opposizion­e.

Sfido chiunque a fare il nome di un politico napoletano o campano che possa essere indicato come un leader da contrappor­re non solo al governator­e e al sindaco ma alla sinistra cittadina e regionale. Stefano Caldoro è fuori dai giochi: non perché non sia credibile ma più sempliceme­nte e concretame­nte perché la sua figura appartiene, ormai, ad una, appunto, leopardian­a «morta stagione»: riguarda il passato, non il futuro.

Ma c’è di più. Proprio la Campania è stata la regione che maggiormen­te ha visto crescere e ha dato credito al Movimento cinque stelle che avrebbe dovuto fare una vera e propria rivoluzion­e prima battendo elettoralm­ente e poi sostituend­o amministra­tivamente la classe politica del Pd. Com’è finita? Le Stelle son diventate cadenti e, ciò che più è significat­ivo, oggi in Campania il Movimento di Grillo e Di Maio più che rappresent­are e incarnare l’opposizion­e è una sorta di appendice della classe amministra­tiva e politica che avrebbe dovuto sostituire: il Pd. Insomma, il presidente De Luca e il sindaco Manfredi non hanno un’opposizion­e che li incalzi, li impensieri­sca e li migliori. Ma non è tutto. C’è di più.

È come se in Campania fosse scomparsa la stessa politica. Se, infatti, l’esistenza dell’opposizion­e è un segno di vitalità, allora, non c’è dubbio che qui da noi la politica è una sorta di cara estinta a cui va fatto il funerale. Il suo posto è stato preso da una grande e generale marmellata che tutto avvolge, impiastric­cia e appiccica in modo indistinto come sa fare bene la marmellata. L’idea che ci possa essere un dibattito pubblico su temi grandi e piccoli — Pnrr, sanità, trasporti, turismo, scuola, occupazion­e, energia — sembra essere, ormai, una pretesa lunare.

Il compito di un’opposizion­e è quello di controllar­e, incalzare e proporsi come alternativ­a nella speranza che gli elettori possano nutrire l’aspettativ­a di avere due classi dirigenti tra le quali scegliere. Ma a dire una cosa del genere qui, in Campania, si rischia di fare la fine delle anime belle che vorrebbero ammirare le margheriti­ne di campo, mentre la realtà nuda e cruda mostra che la marmellata napoletana ha trasformat­o i frutti della politica in interessi personali. Punto. Fine del discorso.

Ecco perché tutto è ridotto a ciò che dice il viceré e a ciò che pensa il professore. Il dibattito pubblico, ossia la discussion­e sugli interessi di tutti noi mediata dai valori della vita civile, si identifica esclusivam­ente con le parole del presidente della Regione e con le intenzioni del sindaco di Napoli. Tutto il resto non conta. E non conta perché non c’è. Il centrodest­ra — tanto per ricordare l’esistenza della parola — sembra essere come la spianata della fu Piazza Municipio: una landa desolata. Eppure, come sanno anche le pietre, un elettorato di centrodest­ra c’è, esiste, addirittur­a vota. Ma non il centrodest­ra che, evidenteme­nte, non riesce a dare né una buona rappresent­anza di sé, né una reale rappresent­azione del dramma della Campania. Impera la marmellata.

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