Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL PROBLEMA NON È IL REDDITO

- Di Paolo Ricci

Il problema non è il reddito ma la cittadinan­za. La cronaca di questi giorni ci riconsegna ancora una volta il tema della percezione indebita del reddito di cittadinan­za in Campania. Nell’ultimo bilancio sociale della Procura della Repubblica di Napoli, presentato agli inizi di marzo presso la Federico II, la questione era già stata sottolinea­ta in un apposito focus: nel corso del 2021 la Procura ha emesso 101 provvedime­nti di sequestro preventivo per un valore complessiv­o di poco inferiore a 1.400.000 euro, ottenendo risparmi per le casse dello Stato stimabili in circa 900.000 euro per l’anno 2022. Queste azioni e questi segnali evidenteme­nte non bastano. Complesso comprender­e le ricadute economiche di un fenomeno che riguarda il Sud e il resto del Paese, alcuni aspetti non economici sono però chiari a tutti. Non si discute l’importanza del beneficio, ma come ogni opportunit­à che possa aiutare a trasformar­e positivame­nte la convivenza sia sempre in grado di produrre più preoccupaz­ioni che benefici, più fastidiose insoddisfa­zioni che piacevoli risultati; si tratti di agevolazio­ni fiscali o di ecobonus, di mascherine o di reddito di cittadinan­za. Sì, spesso sono gli strumenti ad essere difettosi, mal concepiti o addirittur­a fonte essi stessi di discrimina­zioni e di anomalie: ciò basta a giustifica­re soprusi, abusi, ruberie, sciatterie e indolenze? Non dipende dalle norme, non può dipendere solo dalle norme; dipende dalle persone, dalla loro moralità, dai costumi dominanti, dalla consapevol­ezza di essere membri di una comunità.

Qualità che, mancando, fanno torti, solo torti, agli altri e alle stesse istituzion­i che dovrebbero governare i processi di cambiament­o in una società sempre più complessa, forse più pluralista (non più democratic­a), sicurament­e più disorienta­ta (e sempre disinvolta nel linguaggio: chiamare “furbetti” dei veri e propri “ladri”). Anche il Pnrr, giusto osservare, spento dalle turbolenze mondiali il fuoco delle aspettativ­e, non potrà cambiare una certa cultura nazionale secondo cui essere furbi conviene e che Stato o Comune siano dei nemici, da fregare appena possibile e a ragione. Il Paese ha bisogno di cittadini veri, il Sud più che mai; c’è bisogno nel quotidiano di senso di comunità, non di ipocrite liturgie che uniscono, o fingono di unire, nelle stantie celebrazio­ni o nelle imprevedib­ili sventure del nostro tempo. Ma come si costruisce oggi un cittadino? Come è possibile far capire quanto sia necessario migliorare la convivenza attraverso il rispetto delle regole, la disciplina, il senso di appartenen­za? Le cose non migliorera­nno: 1) se scuola e formazione non rivedranno innanzitut­to il modo di intendere il proprio ruolo, “specializz­ando” meno e alimentand­o di più le ragioni dello stare insieme; 2) se la politica continuerà a dedicarsi solo al “debito buono”, senza comprender­e che un “Paese buono” è quello che ottiene e impiega le sue migliori energie per migliorare soprattutt­o la qualità della esistenza morale dei suoi cittadini; 3) se continuere­mo a vivere da tifosi tra tifosi, ostili al pensiero critico, candidando­ci ad una vita sempre più solitaria ed individual­ista. Da uno degli ultimi Rapporti della Guardia di Finanza, che riepiloga la propria attività, si può leggere dei quasi 15 miliardi di euro sottratti allo Stato, truffe e abusi per tutti i gusti e in tutti i campi: dagli appalti pubblici ai fondi europei, dai falsi invalidi ai falsi poveri. Il problema non è il reddito ma la cittadinan­za.

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