Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UN NUOVO PATTO PER LO SVILUPPO
C’è davvero un nuovo vento che sta cominciando a spirare nel Sud? Siamo davvero iniziando a respirare un’aria diversa e piena di promesse? Vorremmo augurarcelo con tutto il cuore, e vorremmo davvero che il Convegno che si svolge a Sorrento alla presenza del Capo dello Stato, di Mario Draghi e con gran spolvero di ministri — su cui Claudio Scamardella ha appena scritto cose serie e sensate su questo giornale — venisse ricordato come il momento della svolta, o almeno come uno dei segni che l’annunciavano. Bisogna dire tuttavia che il quadro che si è venuto componendo in questi mesi — nel Mezzogiorno e nell’intero Paese — induce quanto meno alla prudenza. È come se la guerra ucraina avesse azzerato il nostro dibattito pubblico, che già di per sé non è mai stato gran cosa: tra miopie, provincialismi e futilità di ogni genere. Non si parla quasi d’altro, anche nell’opinione pubblica meridionale. Gli altri temi sono come scomparsi. Avvolti in una nebbia indistinta. E del Pnrr, che sembrava dovesse essere l’occasione per la nascita di una nuova Italia, e intorno al quale si stava sviluppando, sia pure a fatica, qualche discussione per una volta non strampalata o indotta solo da interessi di parte, quasi nessuno sembra più occuparsi.
E invece la guerra e le sue conseguenze non hanno preso il posto dei vecchi problemi, facendoli scomparire come per magia, o trasformandoli in questioni di minor rilievo. Li hanno fatti diventare invece solo più impellenti e più gravi, perché hanno reso l’Italia — tutta l’Italia — più esposta e più fragile, e la sua tenuta — non solo economica, ma sociale, intellettuale e morale — più precaria, più a rischio. E fra le questioni drammaticamente aperte di fronte a noi il destino del Mezzogiorno è senza dubbio quella più strategica e decisiva. Da essa dipende l’avvenire dell’intero Paese, il futuro di un’intera generazione. In questi ultimi mesi non si è visto arrivare alcun vero segno di ripresa dalle regioni meridionali, e tantomeno dalla Campania.
Nulla di strutturale, di forte, su cui fondare qualche solida speranza. Non dall’economia, non dalla società, non dai servizi o dalle infrastrutture, non dall’insieme dei partiti e del ceto politico e di governo, che dà anzi l’impressione di una deriva ormai fuori controllo. Mentre già si comincia a profilare come possibile la perdita di molte centinaia di milioni di fondi dell’Ue per la mancata attuazione dei progetti previsti, e la sanità campana rivela ancora una volta il disastro delle sue condizioni (per restare solo alle notizie più recenti).
Innanzi a questo stato di cose, sarebbe cruciale che il Governo rendesse chiare almeno tre indicazioni in modo evidente e inequivocabile. Esse riguardano l’urgenza, le priorità, la visione.
Non c’è più un momento da perdere: questo dovrebbe diventare il primo messaggio. Non è più il tempo degli annunci, ma dell’azione. Bisogna mettere in sicurezza i fondi del Pnrr e quelli provenienti dalle altre risorse europee prima che si entri nel vivo della campagna elettorale per le politiche del 2023. E per farlo, occorre sperimentare, da subito, nuove forme di collaborazione fra Governo centrale, Regioni ed enti locali. Siglare un nuovo patto di unità e di integrazione, e dargli immediatamente esecuzione.
C’è poi l’esigenza di stabilire con chiarezza le priorità negli interventi. Fissare i punti cruciali di un programma che non può più aspettare. Infrastrutture: mobilità, trasporti, reti informatiche. Ricerca, sia di base, sia in connessione con le imprese: anche elaborando un piano di rilancio delle Università meridionali che le veda finalmente fare sistema tra loro. Lotta alla criminalità e riconquista dei territori alla legalità: perché le mafie stanno letteralmente strangolando il Sud, e il livello di inquinamento delle istituzioni e delle assemblee elettive ha superato da tempo quel livello di guardia oltre il quale è lo stesso tessuto democratico a ritrovarsi in pericolo.
Rammendo e gestione delle grandi aree urbane, a Napoli, a Palermo: perché le città sono una straordinaria ricchezza del Sud, un deposito di storia, di bellezza e di umanità senza eguali nel Mediterraneo, e la salvezza dal loro degrado non riguarda solo il turismo (come scioccamente si tende oggi a dire) ma il futuro di un’intera civiltà.
La visione, infine. Nella presentazione del Convegno di Sorrento si scrive del Mezzogiorno come asse per «le strategie di crescita, competitività e di cooperazione del Mediterraneo, con l’obiettivo di diventare la piattaforma continentale di congiungimento fra Sud e Nord Europa». Per chi, come chi scrive, ha fatto (insieme a Ernesto Galli della Loggia) della necessità di un riequilibrio europeo orientato a sud il centro di una realistica strategia che dovrebbe coinvolgere l’intero Paese, queste non possono essere che parole accolte con grande favore. Meglio tardi che mai, c’è da pensare. Finalmente.
Ma se queste frasi non sono solo due vecchi professori a scriverle, ma impegnano in qualche modo lo stesso Governo, occorre che alle parole seguano i fatti. E cioè che si dica con chiarezza quale idea d’Italia ha in mente chi regge le sorti del Paese, e che sulla base di questa idea, si attuino le strategie e le misure indispensabili per realizzarla. Un’Italia davvero proiettata nel Mediterraneo, che sappia finalmente congiungere la sua geografia con la sua storia e la sua politica, non può essere un’Italia come quella che conosciamo: con i suoi porti meridionali abbandonati o sottovalorizzati, con la baia di Napoli vuota di navi che non siano da crociera, con i suoi servizi che nel Sud determinano ormai il contesto di una cittadinanza degradata.
Siamo ancora in tempo per cambiare? Noi crediamo di sì, con convinzione. Ma bisogna innanzitutto volerlo.