Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Al via il Cimitile nel segno della salvaguardia ambientale
Oggi alle 18.30 con la mostra d’arte «Alla ricerca della forma dell’acqua. Artisti contemporanei per la salvaguardia del Pianeta» a cura di Giuseppe Bacci, prende il via il 27° Premio Cimitile. Alle 19, tra gli altri, al dibattito inaugurale, Felice Napolitano, Vittorio Cuciniello, Gaetano Manfredi e Giulio Boccaletti. Coordina Ermanno Corsi. nel mondo» ideato e diretto ancora da Scaparro in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia.
Dissi fra l’altro, e con ciò torniamo al dualismo Viviani/ Eduardo, che quella di Viviani non si limita ad essere una lingua connotativa (ossia, rispetto agli ambienti e ai personaggi, puramente descrittiva), ma è, costantemente e strenuamente, una lingua costitutiva. E forse è opportuno, nel merito, riandare alla famosa formula di Sartre circa il linguaggio come «corpo verbale»: poiché, se è vero che io sono linguaggio, che ciascuno di noi è il linguaggio che parla, ecco che anche i personaggi di Viviani (o i vicoli e le piazze in cui si muovono) sono esattamente la lingua che parlano (o che li evoca). Mentre perfettamente opposta è la lingua di Eduardo De Filippo.
Ebbene, a proposito della pubblicazione del teatro di Viviani da parte dell’editore Guida, dopo il mistero (o la curiosità) dell’affidamento della cura dell’opera al «foresto» Guido Davico Bonino venne al sesto volume il miracolo, altrettanto imprevisto, della sostituzione del professore torinese per l’appunto con Goffredo Fofi. E la musica, si capisce, cambiò completamente.
Nel saggio introduttivo al volume Fofi mise subito le carte in tavola, e insieme con acume ed esattezza. Nella scia di Vito Pandolfi, collocò Viviani accanto al solo Pirandello e, in prospettiva, personalmente lo accostò a Carmelo Bene, «che soffrirà bensì presso il pubblico e gli storici il fatto di essere grande attore e regista prima che grande autore, così come Viviani ha sofferto della sua grandezza di scrittore in napoletano».
Eccola di nuovo, la questione decisiva della lingua di Viviani. Giusto il carattere «costitutivo» di quella lingua, Goffredo Fofi poté con straordinaria capacità di analisi affermare che Viviani «è l’autore del popolo, e bensì non per il popolo, in nome del popolo, ma da dentro il popolo e le sue contraddizioni e le sue, molto concrete, paure». Ancora una volta, perciò, torna in mente il racconto secondo cui, avvicinandosi la morte, Viviani tacque per dodici ore; e poi, un attimo prima spirare, ruppe in un grido altissimo: «Arapite ‘a fenesta, faciteme vede’ Napule!». Quella Napoli che sentì sempre, e descrisse, come un incubo.