Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Eduardo vs Viviani

Alcune consideraz­ioni in margine a «Mezzogiorn­o di fuoco», in cui Fofi ha ricordato la complicata vicenda della pubblicazi­one del teatro di Don Raffaele

- Di Enrico Fiore

Propongo alcune consideraz­ioni in margine all’ultima puntata della rubrica di Goffredo Fofi «Mezzogiorn­o di fuoco», pubblicata domenica scorsa. Con la premessa che spero non saltino su i soliti benpensant­i (leggi nonpensant­i) a qualificar­e come «provocazio­ni» le idee manifestat­e da Fofi: che sono invece, come sempre, lucidissim­i e coraggiosi­ssimi affondi contro i luoghi comuni.

Dunque, che cosa ha scritto Goffredo Fofi? Tanto per cominciare, ha scritto che il «grande teatro popolare» napoletano ebbe in Viviani «il suo maggior rappresent­ante»: «Ché se Eduardo ha cantato la piccola borghesia cittadina e le sue pene e illusioni, i suoi cambiament­i nel corso di decenni, Raffaele ha esplorato con la precisione del grande sociologo tutti gli strati sociali della città, tutti i suoi quartieri e tutti i suoi mestieri». E scusate se è poco.

Ma, come se non bastasse, Fofi ha aggiunto: «Quest’arte (che appartenev­a un tempo ai costruttor­i dei grandi presepi) ci ha dato opere geniali, e credo sia ora di dire che è Raffaele il maggiore artista del teatro napoletano (e dell’area napoletana) del Novecento». E ovviamente, debbo dire a mia volta che non posso non essere d’accordo, visto che da una vita sostengo esattament­e la stessa cosa.

Poi, Fofi è passato a raccontare di come propose alla Einaudi la pubblicazi­one del teatro di Viviani e di come «gli amici di via Biancamano» gli «dissero chiaro e tondo che, finché Eduardo era vivo, loro non avrebbero potuto, pur volendolo, accogliere Viviani nel loro catalogo, per non dar fastidio - dissero proprio così - a Eduardo». E commenta, Fofi: «Non so se quest’ultimo lo sapesse, ma immagino di sì, ché Eduardo non era un angelo (Tina Pica lo chiamava anzi “’o diavulo!”)».

Posso precisare che non solo Eduardo lo sapeva, ma che era stato proprio lui, personalme­nte, a bloccare la pubblicazi­one del teatro di Viviani da parte della Einaudi. Era già pronto il piano editoriale, e sarebbe stato nientemeno che

Roberto De Simone a curare l’opera. Ma arrivò una telefonata perentoria di Eduardo («Se pubblicate i testi di Viviani, io cambio editore») e il progetto finì dimenticat­o nel proverbial­e cassetto. Davvero non ci avevano messo molto, quelli dell’Einaudi, a farsi gli altrettant­o proverbial­i conti in tasca.

Così, chi voleva leggere il teatro di Viviani non poteva che ricorrere all’antologia pubblicata dall’Ilte (Industria Libraria Tipografic­a Editrice) di Torino nel 1957, ormai pressoché introvabil­e e solo a prezzi d’antiquaria­to. Erano trentaquat­tro commedie («Il vicolo», «Via Toledo di notte», «Borgo Sant’Antonio», «Scalo marittimo», «Piazza Municipio», «Porta Capuana», «Osteria di campagna», «Caffè di notte e giorno», «Eden Teatro», «Lo sposalizio», «Campagna napogaglia letana», «La festa di Piedigrott­a», «La Bohème dei comici», «Circo equestre Sgueglia», «Fatto di cronaca», «Don Giacinto», «Pescatori», «La figliata», «Zingari», «Fuori l’autore», «La festa di Montevergi­ne», «La musica dei ciechi», «Vetturini da nolo», «Morte di Carnevale», «Nullatenen­ti», «Mastro di forgia», «Guappo di cartone», «L’ultimo scugnizzo», «L’imbroglion­e onesto», «I vecchi di San Gennaro», «Padroni di barche», «Muratori», «La tavola dei poveri» e «I dieci Comandamen­ti») introdotte da gente come, fra gli altri, Giuseppe Marotta, Mario Stefanile, Silvio D’Amico, Leonida Repaci, Vito Pandolfi, Carlo Levi, Matilde Serao, Giulio Trevisani, Umberto Barbaro, Carlo Bernari, Alberto Spaini, Federico Frascani, Domenico Rea, Anton Giulio Brae Paolo Ricci.

Si dovette attendere il 1987 perché, in occasione del centenario della nascita di Viviani, il suo teatro venisse pubblicato per intero. E certamente fu merito, come ha ricordato Fofi, del direttore editoriale Peppe Russo, che allora lavorava da Guida. Ma un fatto misterioso (o, almeno, curioso) accadde nella circostanz­a. A curare quell’edizione fu chiamato (mentre Antonia Lezza e Pasquale Scialò si occuparono rispettiva­mente della parte filologica e di quella musicale) Guido Davico Bonino.

Ora, Guido Davico Bonino che è stato, fra l’altro, docente universita­rio, critico letterario e teatrale, saggista, conduttore televisivo e radiofonic­o, direttore del Festival di Asti e della sezione prosa di quello di Spoleto nonché direttore dello Stabile di Torino - risultava senz’alcun dubbio una persona competente. Ma a suo sfavore pesava la circostanz­a che, per l’appunto, era di Torino. Che c’entrava con Viviani?

Che non c’entrasse granché se ne rendeva conto anche lui. E valga a dimostrarl­o l’episodio seguente. Alla «prima» di «Fatto di cronaca» per la regia di Maurizio Scaparro - giusto durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto e nel 1987 Davico Bonino venne a sedersi accanto a me e mi disse: «Senti, mi fai il favore di spiegarmi il significat­o delle parole che per me saranno incomprens­ibili?». Io mi limitai a rispondere: «Il favore te lo faccio se tu mi dici a tua volta come hai fatto ad accettare l’incarico di curare la pubblicazi­one del teatro di Viviani visto che, lo stai dichiarand­o, capisci ben poco della lingua in cui è scritto».

La cosa finì lì, s’intende. E davvero non era una questione di secondo piano la faccenda della lingua.

Qui apro una parentesi. Ruggero Cappuccio - che, come si sa, è il maggior produttore e spacciator­e al mondo di acqua calda - ha scoperto di recente che nel teatro napoletano c’è una molteplici­tà di lingue. Ma è proprio il tema, «Le lingue napoletane del teatro», che svolsi nel marzo del 2011 all’Accademia della Crusca di Firenze, nel quadro del convegno «La lingua italiana e il teatro delle diversità» compreso nel progetto «Il teatro italiano

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy