Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Clorofilla», dall’Irpinia un Falanghina verticale
MOSTO SACRO
Dopo aver contribuito in misura determinante all’affermazione di importanti aziende vitivinicole regionali (basti citare a mo’ di esempio l’Abbazia di Crapolla), Arturo Erbaggio, enologo di scuola Moio, ha deciso di realizzare un proprio vino con le uve di una piccola vigna di famiglia ubicata nel comune di Torre Le Nocelle. Un ettaro scarso, che include viti di aglianico e di falanghina. E proprio da queste ultime il professionista ha avviato la produzione di un bianco che i consumatori meno consapevoli stenteranno a riconoscere come Falanghina. Ma è proprio in questa diversità, rispetto ai modelli più rotondi e grassi del Taburno, che va ricercato il principale pregio di queste mille bottiglie di vino destinate di default ad entrare nel circuito dell’alta ristorazione e delle enoteche più aggiornate. Si tratta di un vino verticale, per certi aspetti tagliente, immaginato per durare ed evolversi nel tempo. Ma per scoprirlo ho, naturalmente, dovuto assaggiarlo subito, cioè proprio nel momento della sua immissione in commercio. Prima annata la 2020, generalmente di difficile interpretazione. A dispetto del nome (bello) «Clorofilla», è di colore paglierino e comunque dimostra consistenza. Il naso è abbastanza schematico. Ho percepito sentori floreali e di erbe aromatiche, di pera abbastanza matura, di agrumi. Al palato emergono altre virtù. Il sorso è sicuro, senza interruzioni, sorretto da grande freschezza e una piacevole vena minerale e sapida che si prolunga nel finale e invoglia il riassaggio. Un Falanghina coerente, che, almeno in questa fase, potete abbinare con soddisfazione alle fritture di alici o latterini (tra poco si troverà anche la fragaglia), ai primi piatti con sughi marinari, ai pesci bianchi aromatizzati con un sughetto alla mentuccia. Buono anche per accompagnare i latticini o preparazioni in cui gli stessi abbiano un ruolo centrale.