Corriere del Mezzogiorno (Campania)
CAMBIARE LE POLITICHE MIGRATORIE
Siamo a quasi quattro mesi dallo scoppio di una guerra interminabile. Davvero il tempo è una realtà soggettiva. Come insegnano i grandi storici. Mesi e mesi di una guerra folle e infinita per lutti, distruzioni, disumanità. In Campania sono arrivati bambini, ragazzi e donne con gli sguardi spaventati e increduli per la tempesta di bombe da cui sono scappati. E possiamo immaginare le terribili esplosioni che risuonano nelle loro orecchie. A metà aprile l’assessore Trapanese ha comunicato che nell’area metropolitana sono giunti circa 11 mila ucraini e 25 mila in tutta la Campania. Sono numeri da aggiornare, se si considera che in queste ultime settimane centinaia di profughi hanno lasciato la nostra regione per rientrare in Ucraina. Sono ritornati perché in alcune regioni del paese la situazione è divenuta più tranquilla, ma anche perché non avevano mezzi economici per fare fronte alle esigenze quotidiane. Inoltre, in questi giorni stanno partendo vari ragazzi ucraini per sostenere gli esami a conclusione dell’anno scolastico. Sono incerti sul loro futuro, ma non si perdono d’animo di fronte ai disastri della guerra.
Al netto dei ritorni, un buon numero sono qui fra noi. Le donne hanno cominciato a lavorare come domestiche e badanti o nei ristoranti e negli alberghi. Si sono subito adattate al repentino cambiamento di ambiente e di lavoro: in Ucraina erano insegnanti, dipendenti della pubblica amministrazione, addette in imprese private. Tra loro c’è gratitudine nei confronti degli italiani. Desiderano imparare la nostra lingua, sebbene nutrano la speranza di ritornare nel loro paese. I bambini ucraini sono stati accolti a scuola, il primo giorno è stato salutato con feste di benvenuto. Più che in altre occasioni, l’Italia ha rivelato il suo volto migliore, soprattutto grazie all’instancabile azione di accoglienza della bella e operosa comunità ucraina residente in Campania da molti anni. Si è subito costituita una rete di volontari, per lo più donne, che si è prodigata nel dare informazioni, nel trovare disponibilità presso le famiglie campane dove far pernottare i profughi, nell’agevolare l’inserimento dei minori a scuola, nell’attivare raccolte di cibo, vestiario e medicine. Si è costituito in pochissimo tempo un gruppo informale e straordinariamente efficace di mediatrici, che ha reso evidente la centralità di questa figura professionale, ancora troppo trascurata negli assetti amministrativi italiani. Un inestimabile lavoro svolto con serietà e responsabilità, mentre continuano a lavorare come badanti, collaboratrici domestiche, commesse. In alcuni casi aspettano di ricevere il permesso di soggiorno, pur avendo presentato domanda in occasione della regolarizzazione dell’estate 2020. Si pongono allora due questioni, non nuove per la verità, ma che l’arrivo dei profughi ucraini ha reso impellenti: la formazione di mediatori per una società che volge sempre più al plurale e la riforma della cittadinanza. Sul primo aspetto sorprende che in Italia, terra di immigrazione da diversi decenni, siano ancora poche le università dotate di percorsi di laurea triennali e magistrali che conferiscano il titolo di mediatore culturale. Come dimostrano le vicende di queste settimane, la questione va oltre la dimensione linguistica: occorre trasmettere qualificate competenze sulla Costituzione, sull’istruzione, sulla sanità, sulla storia, sull’economia, sull’antropologia, che permettano al mediatore di esercitare al meglio la funzione di “ponte” fra i migranti e le istituzioni italiane. In merito alla riforma della cittadinanza è sotto gli occhi di tutti che si tratta di una materia improcrastinabile: che ne sarà dei bambini e ragazzi ucraini e anche di chi è nato qui da genitori stranieri se non gli consentiamo in tempi rapidi di appartenere alla nostra comunità? Sono due argomenti che a ben guardare riguardano i processi di integrazione, un aspetto su cui il nostro paese è davvero inadeguato. Speriamo che la presenza dei profughi ucraini solleciti un deciso mutamento di rotta. Sarebbe ora.