Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Veronica: investita, dal coma alla vita viaggio nell’orrore

- di Monica Scozzafava

Individuat­i gli autori del raid di Forcella in cui è stata investita Veronica Carrasco. Tra loro il figlio del boss Bosti. La donna ora sorride, è ancora in ospedale assistita da marito, Raffaele Del Gaudio. «La vita mi ha dato una nuova opportunit­à», dice. Neanche prova odio per i tre balordi che l’hanno travolta e quasi uccisa un mese fa mentre era seduta al ristorante «Cala la Pasta» a Forcella.

NAPOLI Veronica Carrasco sorride, è ancora in ospedale assistita da suo marito Raffaele Del Gaudio guarda oltre la finestra della sua stanza e i suoi occhi sono vivaci. È solare, Veronica. Nonostante tutto. «La vita mi ha dato una nuova opportunit­à», dice. Ne è così convinta che neanche prova odio per i tre balordi che l’hanno travolta in sella ad una moto e l’hanno quasi uccisa un mese fa mentre era seduta al tavolino del ristorante “Cala la Pasta” a Forcella.

La vicenda si è chiusa proprio ieri con l’arresto dei responsabi­li. C’è anche il figlio di un boss che ha partecipat­o a quella corsa criminale in moto, Veronica ringrazia Napoli e le forze dell’ordine: «Non immaginavo tanta solidariet­à, sono commossa. Il mio viaggio del dolore, del pianto si conclude nella maniera migliore».

Veronica, perdonerà le persone che stavano per ucciderla?

«Odiare significa perdere tempo inutilment­e. Ho scelto invece di imparare da questa cosa orribile che mi è capitata. Ho fatto un percorso che non auguro a nessuno ma oggi mi ritrovo con una forza che non immaginavo di avere. Voglio uscire, tornare a fare le mie fotografie. Voglio tornare a vivere perché, ed è anche questa la lezione, bisogna godere di ogni momento. Prendersi le gioie quotidiane, anche le più semplici. Ed essere felici, perché non c’è tempo. Mi sono avvicinata alla morte, per fortuna senza rendermene conto, e posso dire con consapevol­ezza che non abbiamo tempo».

Sarà così naturale tornare alla vita di prima?

«Questo non lo so. Non so se avrò paura di uscire di casa di sera, se mi sentirò in pericolo. Spero di superare pian piano il trauma, ma al momento non posso saperlo. Sono una donna abituata a viaggiare, ho vissuto a Santiago dove sono nata, lì alle 11 della sera in strada pure ci sono tanti pericoli. Fino a un mese fa non immaginavo che qualcuno potesse farmi così del male. Invece ho vissuto qui a Napoli il mio film dell’orrore».

È stata in coma, come è stato svegliarsi e sentirsi viva?

«Una sensazione di rinascita difficile da spiegare con le parole. Tante cose le ho sapute dopo. Ricordo il sonno profondo. Poi aprivo gli occhi e non capivo. Uno stato di semiincosc­ienza... Pensavo alle foto che dovevo scattare, a quello che avrei dovuto fare. No, non ho avuto paura di morire, ma forse perché non mi sono resa conto di quello che era successo».

E poi glielo hanno spiegato?

«Poi mi sono guardata allo specchio. E credo di essere una miracolata. Anzi, una donna fortunatis­sima. Ed è anche questo che oggi mi dà la forza. Ringrazio di cuore i medici dell’ospedale Cardarelli che mi hanno salvata. Ma anche tutti quelli che mi hanno mandato messaggi di conforto e di speranza. Una rete incredibil­e».

Di quella sera cosa ricorda?

«Pochi flash, ogni tanto nella mente riaffiora qualcosa. Ma la fotografia nitida risale a pochi minuti prima di finire sulla strada priva di sensi. Ero seduta al tavolino e già per due volte la moto era passata davanti a me a velocità pazzesca. Sono entrata nel ristorante e ho detto ai ragazzi: chiamiamo la polizia, questi se corrono così possono uccidere. Qui fuori ci sono i bambini. Poi mi sono seduta di nuovo, guardavo la mia macchina fotografic­a. Lo schianto, e poi il buio totale. Forse ricordo la sirena dell’ambulanza, il frastuono. Ma non so se è la mia immaginazi­one, sinceramen­te».

"Non ho intenzione di lasciare Napoli Anzi, voglio contribuir­e a renderla migliore Ho imparato che occorre godere di ogni momento

Pensa di lasciare Napoli?

«Assolutame­nte no, amo questa città. E voglio contribuir­e a renderla migliore. Ma le istituzion­i devono aiutarci a rendere i quartieri più sicuri. Bastano le telecamere e la presenza più costante delle forze di polizia. Se ci fosse stato un bambino, più fragile di me fisicament­e, sarebbe morto. E non è concepibil­e. Io sono stata fortunata e ringrazio Dio. Ho pianto tanto, tantissimo. Ma ora sorrido. Sorrido alla vita e alla mia rinascita».

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