Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«L’anoressia è un mostro, non la vinci pensando di batterla Ma solo se impari a conviverci»
Cantante (successo ad Amici), influencer e adesso scrittrice «Su Instagram racconto le storie di ragazze che vivono il dramma»
Convivere con un mostro chiamato anoressia, avere ogni giorno il coraggio di guardarlo dritto negli occhi per rinchiuderlo in un angolo nascosto della mente, fino a condividerne il peso e aiutare chi ne soffre ad affrontarlo. E’ la missione della cantante, ma anche influencer e scrittrice Giulia Molino. Un traguardo, raggiunto dopo aver sfiorato e temuto la morte, che oggi l’artista napoletana
condivide attraverso canzoni, storie su Instagram e le pagine di un libro: Imparerai a conviverci. Il
coraggio e la speranza. Oltre la malattia, appena pubblicato per Mondadori, in cui racconta la sua drammatica esperienza.
Aneddoti familiari, messaggi Whatsapp, amori, amicizie, paure, cadute, rinascite, e soprattutto il complicato rapporto con il cibo: la musicista ventitreenne — salita alla ribalta nel 2019 con il secondo posto ad Amici nella sezione canto a cui è seguito il disco d’oro con l’album d’esordio «Va tutto bene» — unisce i cocci del suo mosaico in nove capitoli. Non solo. Giulia Molino apre un varco mediatico, sfruttando la potenza persuasiva di
Instagram, il social che per antonomasia premia la perfezione estetica, ribaltandone di fatto la prospettiva. Sul suo profilo, che vanta ben 350 mila follower, Giulia raccoglie storie vere di ragazze che hanno sofferto o che continuano a soffrire di anoressia. E ogni giorno aumenta il numero delle sue fan o di semplici follower che decidono di rompere il silenzio e affrontare finalmente il mostro.
Raccontare un’esperienza traumatica come quella dell’anoressia attraverso la musica, i social e ora anche un libro. Come nasce questo percorso?
«E’ un tema inesorabilmente pesante, ma allo stesso tempo ancora oggi sottovalutato. Non è stato facile spiegarlo con parole semplici. La convivenza di cui parlo, a cominciare dal titolo, nasce ad esempio da una presa di coscienza raggiunta dopo alcuni episodi molto gravi di autolesionismo. Prendevo a pugni il muro, i vetri, ero uno scheletro. Pensavo che non ci fosse più motivo per vivere. Poi è iniziata la guarigione. Ed è arrivata solo quando ho capito di non dover combattere il mostro ma imparare a conviverci. Tuttora non mi oppongo ai pensieri che tornano a tormentarmi. So come tenerli a bada. In fondo il mostro è sempre lì, silente. Non ho quindi la presunzione di dire che l’ho sconfitto, come fanno tante. Perché credo che il miglior modo di affrontare i propri demoni è “tenergli la mano”. Lo canto anche in una mia canzone (Nietzsche, ndr)».
Molte sue fan che soffrono di anoressia hanno
Poi in un certo senso è arrivata anche Maria De Filippi. Ad Amici avevo paura di espormi, di cantare la mia più grande fragilità in un freestyle mutato poi in canzone. Temevo di condividere il mostro nella mia testa. Maria però mi ha aiutato a capire che cantare la mia sofferenza, farla uscire fuori senza timore, esorcizzarla attraverso le canzoni sarebbe stato di aiuto non solo per me ma anche per tante persone che si rispecchiano nelle mie parole, in quello che rimane un dolore perlopiù incomprensibile agli altri. La prima volta che ho cantato il mio malessere in pubblico ha avuto anche un effetto rivelatore».
L’ultimo capitolo del libro, intitolato «A Giulia» è una lettera rivolta a sé stessa.
«Giulia è un riassunto di due vite che continuano a toccarsi tra loro».
Cosa intende?
«Significa che esistono due versioni di Giulia che coesistono e che adesso per fortuna vivono pacificamente, dopo essersi prese a cazzotti per molto tempo, facendosi tanto, tantissimo male. Ho scritto Imparerai a conviverci anche per lasciare tra le sue pagine entrambi i lati di me stessa».
Anche il rapporto complicato con il cibo ha un ruolo centrale. A un certo punto scrive: «Non è una dieta che qualcuno mi ha dato, è il mio schema».
«Seguo una schema che è parte integrante della convivenza con il mostro. Devo imparare a calibrare tutto quello che ingerisco, senza però privarmi della mia vita sociale. Prima, ad esempio, restavo a casa perché non riuscivo a guardare le mie amiche e i mie amici mangiare. Assurdo, vero?».
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"La «terapia»
Prendevo a pugni il muro, i vetri, ero uno scheletro Pensavo che non ci fosse più motivo per vivere. Poi la guarigione: non mi sono opposta alla malattia