Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il future non e un vicolo
È il momento di abbandonare l’ecumenismo e di pronunciare a voce alta i «sì» e i «no»
Come al solito, tutto dipende V, da cib che vogliamo essere: la cittii del panni stesi denim i vicoli o una metropoli europea, una capitale della Cultura dove s'incontrano i ministri di trenta Paesi mediterranei per discute-re 11 futuro o un luogo esotico stile Bangkok. Perche alla fine, espunto 11 chiacchiericcio che invade i social, la domanda sol-levata dallo scoop del Corriere del Mezzogiorno e questa: ha senso che un'amministrazione comunale si occupi di faccende solitamente comprese nei rudi-menti della convivenza civile?
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Esoprattutto, cosa accade nelle stanze di Palazzo San Giaco-mo visto the per la seconda volta - e sempre sulk questio-ne mcwida —Gaetano Manfre-di 6 costretto a rinnegare I contenutl di un'ordinanza gill predisposta dagli uffici co-munalt? Sul primo punto, mi accodo a quanto gtit scritto ten, suite nostre patine, da Maurizio de Giovanni: nel resto d'Italia, questioni del genere sono at& date al regolamenti condomi-Malt e, ancor di pity alla buona educazione. A Napoli, !Effete, entra in campo (tranne fare poi marcia indietro) addirittu-ra 11 sindaco. Forse per smanta di controllo? No, tutt'altro.
An-che perch& se it decono urbano qui non fosse un optional, se ciascuno di not rispettasse -net comportamenti d'ogni giomo e non a parole - l'idea d'essere parte di una comuni-tit, a un uomo colto e raffinato come Manfredi non verrebbe mai in mente di pensare alle tovaglie«scotollate> dal balco-ni.Eppure, mentre nelle disca-riche del pensiero offerte dada Rete sl lanciano strati contro chi wrrebbe demo) re le tradi-zioni, nessuno si chiede banal-mente: e se fosse anche colpa nostra? Oddlo, non voglio re-suscitare John Fitzgerald Ken-nedy e la sua celebre frase «Non chiederti coca tl tuo Pae-se pub fare per to ma cosa puol fare tu per ll tuo Paese*, bend sollecitare una riflesslone semplice semplice: vi sembra normale che nel 2022 ci siano ancora i panni stesi ad asciugare in strada? Vi sembra giusto buttare le briciole e quant’altro dalla finestra? Avete mai visto qualcuno farlo a Milano, Bologna o Firenze? E parliamo di cose minime. Se volessimo addentrarci in faccende ben più serie, ci accorgeremmo che la temperatura del nostro senso civico scende molto al di sotto del livello di guardia. Allora guardiamoci allo specchio e diciamoci la verità: abbiamo dimenticato come si coniuga il «noi», un pronome cancellato dal vocabolario a vantaggio di un «io» che ormai domina qualunque azione. Viviamo immersi nel liquido amniotico di una città-cartolina, ci purifichiamo l’anima esaltando film che parlano di noi trascurando però che sono stati realizzati da autori costretti a lasciare Napoli per fare il loro mestiere, stiamo lì a crogiolarci con la marea di turisti senza chiederci da quali suggestioni siano attratti, se quelle di un luogo dove soggiornare tre o quattro giorni a caccia di esperienze «esotiche» o quelle di una città d’arte in grado di declinare insieme gli stilemi del passato e i linguaggi del contemporaneo. Questa condizione di perenne stasi ci ha resi impermeabili alla modernità, alterando l’evoluzione stessa del pensiero collettivo. Ci aggrappiamo così alle ciambelle degli stereotipi per non affondare in un mare ignoto ed evitare di condividere un destino comune, che ci appare troppo gravoso di rinunce per le nostre sicurezze.
Attenzione, però: guai a pensare che la storia finisca qui. Rimane il capitolo, altrettanto importante, delle responsabilità politiche. Perché il decoro urbano tocca sì ai cittadini ma soprattutto al Comune. Ecco: può un’amministrazione che, dopo oltre nove mesi di governo, non è in grado di assicurare standard minimi nei servizi pubblici (rifiuti, manutenzione, trasporti) chiedere ai cittadini di invertire la rotta? E, poi, per andare dove? Torniamo quindi al punto di partenza: quale città stanno costruendo a Palazzo San Giacomo? Sinceramente, osservando i fatti, è difficile trovare una risposta limpida, chiara, netta. Il sindaco, ieri mattina, si è affrettato a «correggere» la bozza di regolamento anticipata dal Corriere del Mezzogiorno: era già accaduto con le prescrizioni pedagogiche inserite nella prima ordinanza sulla movida selvaggia. Bene, chi ha sbagliato venga messo da parte per diradare il sospetto che l’attività amministrativa sia contaminata dal virus dell’approssimazione. Il guaio è che nemmeno questo basterebbe. Perché ha ragione l’ex rettore quando sostiene che è surreale impedire per decreto che si stendano i panni in strada ma è altrettanto vero che da qualche parte bisogna pur cominciare, a meno di non voler inchiodare il futuro di Napoli all’oleografia, complice diletta di chi nulla intende cambiare.
Sarebbe stato sufficiente, ad esempio, aggiungere che tale usanza non combacia con quel profilo di metropoli europea disegnato in campagna elettorale, che il passato non è una prigione ma serve a far lievitare il domani, che i luoghi comuni non vanno buttati a mare ma riletti in chiave contemporanea, insomma tutto fuorché un salvifico «hanno sbagliato». L’abbiamo ripetuto fino allo stremo: Gaetano Manfredi è la risorsa migliore, forse l’unica, che questa città oggi possiede per non scivolare definitivamente in un disincanto orfano di qualsiasi speranza. Ma è giunto il momento di abbandonare l’ecumenismo, di pronunciare a voce alta quei sì e quei no destinati a tracciare i contorni invalicabili di un progetto che sia condiviso dai napoletani e li renda protagonisti del cambiamento. Non siamo ai piani alti dell’Accademia, dove gli interessi discordanti si riallineano con un felpato gioco di sponda. La politica, quella vera, necessita di scelte inequivocabili. Abitiamo una delle zone più disgraziate d’Europa per povertà, salute, qualità della vita, efficienza amministrativa e non ci rimane molto tempo per scongiurare il tracollo. Quindi dobbiamo fare in modo che il futuro, una costellazione limpida destinata a indicare la strada ai cittadini, plasmi l’andatura del presente e ne acceleri il passo. Subito, non chissà quando. Altrimenti, in breve tempo, ci troveremo riflessi dentro un’amara frase di Ennio Flaiano: «Non chiedetemi dove andremo a finire perché già ci siamo».